Archivi categoria: Microbiologia

Teconologia crispr-cas: la serie (ep. 1)

Primo episodio: i locus CRISPR

La perfezione della natura ha sempre spinto i ricercatori a cercare di imitarla e sfruttarla. In questa serie di articoli conosceremo una delle tecniche di editing genomico più alla moda di questi tempi che ha ricevuto il tanto ambito premio Nobel per la chimica nel 2020.

Partiremo con un viaggio nella storia per scoprire in che modo sono state scoperte queste tecnologie e come l’uomo è stato in grado di sfruttarle e usarle a suo piacimento per poi analizzare anche da un punto di vista etico la possibilità di utilizzare queste tecnologie in un futuro quasi alle porte.

Buon viaggio!

Un po’ di storia del materiale genetico

Prima di entrare nel dettaglio di questa tecnologia è necessario dare, anche ai meno esperti, un’infarinatura generale sul materiale genetico contenuto nelle cellule.

Il DNA (acido deossiribonucleico) fu isolato per la prima volta nel 1869 da Friedrich Miescher che estrasse questa molecola da linfociti contenuti nel pus presente su bende chirurgiche.

Se sei interessato alla scoperta e al primo protocollo di estrazione del DNA visita questo articolo:

Dahm, Ralf. “Friedrich Miescher and the discovery of DNA.” Developmental biology vol. 278,2 (2005): 274-88. doi:10.1016/j.ydbio.2004.11.028

Altre scoperte chiave avvengono negli anni successivi. Nel 1928 Frederick Griffith osservò che alcuni caratteri fenotipici potevano essere trasferiti da batteri morti ad altri batteri vivi e a questa informazione genetica trasferita diede il nome di principio trasformante.

Solo nel 1944 Oswald T. Avery, Colin MacLeod e Maclyn McCarty dimostrarono che questo “principio trasformante” non era di natura proteica ma era DNA. La conferma che il DNA è il vettore dell’informazione genetica avvenne nel 1952 quando Alfred Hershey e Martha Chase usarono un virus (Batteriofago T2) con DNA marcato con fosforo radioattivo, dopo aver infettato un batterio, ritrovarono questo isotopo anche nella progenie virale cosa che non successe quando usarono zolfo radioattivo che marcava le proteine.

La composizione del DNA viene scoperta nel 1929 da Phoebus Levene che identifica le basi azotate adenina, timina, citosina e guanina, ma la struttura tridimensionale venne osservata per la prima volta nel 1953: Rosalind Franklin e Maurice Wilkins dimostrarono la struttura regolare e ripetuta a elica, James Watson e Francis Crick perfezionarono la definizione in struttura a doppia elica dove l’adenina è sempre associata alla timina e la citosina alla guanina.

Nel 1957 Francis Crick propose il celebre Dogma Centrale secondo il quale l’informazione contenuta nel DNA viene trascritta in RNA e successivamente tradotta in proteine.

A questo link trovi un riepilogo degli avvenimenti più importanti:

La scoperta del DNA è molto recente e la ricerca sta procedendo a velocità sostenuta sia in campo medico ma anche in quello agrario e alimentare per creare dei nuovi prodotti innovativi e resistenti.

Scoperta delle regioni CRISPR

Nel 1989, Francisco Mojica, un dottorando dell’Università di Alicante, durante i suoi studi su Haloferax mediterranei (Archea alofili) trovò delle particolari strutture nel loro DNA che si ripetevano ad intervalli regolari mai osservate prima nei microorganismi. Queste strutture erano costituite da sequenze di 30 basi circa, con regioni palindromiche (vedi nel box verde il significato), intervallate da sequenze diverse tra loro di circa 36 basi. Ritrovò presto queste sequenze anche in altri microorganismi estremofili come H. volcanii.

Nello stesso periodo anche un gruppo di ricercatori giapponese trovò queste sequenze ripetute in un batterio molto famoso, l’E. Coli.

Inizialmente queste regioni erano chiamate SRSR (Short Regularly Spaced Repeats), una definizione più specifica è stata data negli anni successivi ed è così che nacque CRISPR (Clustered Regularly Intespaced Short Palindromic Repeats): brevi ripetizioni palindromiche raggruppate e separate ad intervalli regolari.

Figura: locus CRISPR con sequenze ripetute (esagoni) e spacer (rettangoli). Sono riportati esempi di sequenze delle ripetizioni di Haloferax mediterranei e E. coli; le sequenze in rosso rappresentano le ripetizioni palindromiche.
Sequenza palindromica

NOTA
Sequenze palindromiche: sono sequenze nucleotidiche del genoma che lette in direzione 5’-3’ risultano identiche se lette in direzione 3’-5’.

Struttura a croce

Quando questa struttura presenta, esattamente al centro, delle altre basi nucleotidiche possono causare la formazione di particolari strutture primarie del materiale genico. Se è interessata un’unica catena la struttura si chiamerà forcina, se sono entrambe le catene coinvolte la struttura è detta a croce.

Nel 2002 alcuni ricercatori hanno scoperto la presenta di geni nelle immediate vicinanze dei locus CRISPR chiamandoli CAS (Crispr-Associated). Di questi geni parleremo in modo più approfondito nei prossimi articoli. (Link)

L’origine e la funzione dei locus CRISPR era ancora sconosciuta.

Scoperta dell’origine dei locus CRISPR

Nel 2003, Francisco Mojica, decise di concentrarsi sugli spacer e ricercò nei database delle similitudini tra queste regioni e altre sequenze di DNA note. In una settimana di analisi, Mojica, trovò correlazioni tra la maggior parte degli spacer e delle regioni del materiale genetico di diversi virus.

Si ipotizzò per la prima volta la funzione di queste sequenze CRISPR e dei geni CAS che secondo Mojica era quella di proteggere i microorganismi da attacchi virali con un ancestrale sistema immunitario adattativo.

Con questo concludo il primo articolo sul sistema di modificazione genica CRISPR-CAS. Nei prossimi “episodi” cercheremo di capire come vengono trasferite alcune regioni dal DNA virale al genoma dei microorganismi e perché si sviluppa un’immunità adattativa.

Grazie per la tua curiosità!

Bibliografia e letture consigliate

[1] Lander, Eric S. “The Heroes of CRISPR.” Cell vol. 164,1-2 (2016): 18-28. doi:10.1016/j.cell.2015.12.041
[2] Bolotin, Alexander et al. “Clustered regularly interspaced short palindrome repeats (CRISPRs) have spacers of extrachromosomal origin.” Microbiology (Reading, England) vol. 151,Pt 8 (2005): 2551-2561. doi:10.1099/mic.0.28048-0
[3] Mojica, Francisco J M, and Francisco Rodriguez-Valera. “The discovery of CRISPR in archaea and bacteria.” The FEBS journal vol. 283,17 (2016): 3162-9. doi:10.1111/febs.13766

Le immagini sono state create con biorender.com

Tocilizumab: l’antireumatico utilizzato nella lotta contro COVID-19

Tocilizumab è un farmaco biotecnologico utilizzatto maggiormente come trattamento dell’artrite reumatoide, un’infiammazione cronica autoimmune che comporta il danneggiamento proggressivo delle articolazioni.

Figura 1: mAb umanizzato

Questo farmaco consiste in un anticorpo monoclonale (mAb) umanizzato ricombinante, ovvero un anticorpo umano (IgG1) le quali porzioni variabili (che legano l’antigene) sono state sostituite da porzioni variabili di origine murina (topo), come mostrato nella figura 1. Ha azione immunosoppressiva, agendo come antagonista del recettore, sia solubile che di membrana, per l’interleuchina 6 (IL-6).

IL-6 è una citochina proinfiammatoria pleiotropica prodotta da linfociti T, B, monociti e fibroblasti. Essa è coinvolta nell’attivazione dei linfociti T, nell’induzione della secrezione delle immunoglobuline, nella sintesi delle proteine di fase acuta e nella stimolazione dell’emopoiesi.

Se la sua produzione è up-regolata, in risposta ai mediatori dell’infiammazione quali TNFα e IL-1, può causare diverse infiammazioni croniche autoimmuni tra cui artrite reumatoide (AR), artrite idiopatica giovanile sistemica (AIGs), sindrome da rilascio di citochine e lupus eritematoso sistemico.

Meccanismo d’azione

Tocilizumab è in grado di legare entrambi i tipi di recettori per IL-6, a livello del sito di legame. Questa interazione impedisce alla citochina di legarsi ed attivare la cascata pro-infiammatoria, diminuendo l’infiammazione cronica.

La somministrazione di questo farmaco può essere associata con metotressato (MTX) oppure dato in monoterapia in caso di intolleranza a MTX.

Tocilizumab e SARS cov-2

Nelle ultime settimane, è stato visto che il Tocilizumab (TCZ) sembra avere effetti positivi nel trattamento dell’infezione da COVID-19. Per questo motivo sono stati avviati diversi studi sperimentali, tra cui uno studio di fase III recentemente autorizzato dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco).

Si tratta di uno studio multicentrico, randomizzato, in doppio cieco che valuterà efficacia, sicurezza, farmacodinamica (concentrazione sierica di IL-6, il suo recettore e proteina C reattiva in time point specifici) e farmacocinetica (concentrazione sierica di TCZ in time point specifici) rispetto a un placebo, entrambi in combinazione con lo standard di cura (SOC), in pazienti ricoverati con grave polmonite da COVID-19.

Lo studio intende selezionare 330 pazienti con almeno 18 anni di età e diagnosi di polmonite da COVID-19 confermata secondo i criteri dell’OMS. Questi pazienti saranno randomizzati per ricevere il trattamento in cieco con TCZ o con placebo in combinazione con SOC.

La quantità di farmaco somministrata ai pazienti assegnati al braccio con TCZ (tramite infusione endovenosa), sarà di 8 mg/kg, con una dose massima di 800 mg. A seguito della prima dose somministrata, i pazienti saranno sottoposti a follow-up per 60 giorni.

Al momento non ci sono risultati significativi ed essendo che lo studio durerà circa 10 mesi, bisognerà aspettare del tempo.

Il documento pubblicato dall’AIFA sullo studio in corso: Download

Fonti:

AIFA – sperimentazioni cliniche COVID-19 (link)
Ministero della salute – nuovi studi di sperimentazione COVID-19 (link)
DrugBank – Tocilizumab (link)

 

PET: studiati i batteri in grado di degradarlo

Il PET (polietilene tereftalato) è una resina polimerica termoplastica, utilizzata come contenitore per bevande e alimenti, come fibre per abiti ma è anche utilizzata in celle fotovoltaiche a strato sottile. Nella sua forma amorfa, che si ha quando le molecole vengono fatte raffreddare velocemente e non hanno il tempo di riordinarsi, il PET è trasparente, mentre in quella semi-cristallina è opaca e bianca.

Monomero del polietilene tereftalato

L’unità base di questo polimero è costituita da acido tereftalico condensato con etilene.

Questo poliestere viene utilizzato come contenitore di bevande per le sue proprietà fisiche di barriera per i gas e l’umidità, per la sua resistenza agli urti, per la sua resistenza a temperature elevate (il polimero può raggiungere i 72°C sopra i quali diventa gommoso) e per il suo basso costo di produzione.

Nel 2015 sono state prodotte 20 milioni di tonnellate di PET per diversi utilizzi, se per semplificare ipotizzassimo che tutto questo PET sia stato utilizzato per produrre le classiche bottigliette d’acqua da 0,5L dal peso di circa 9,89 grammi e dal diametro di 5,8 cm, saremmo in grado, con queste bottigliette, di ricoprire per ben due volte la superficie dell’Italia!

Produzione

La produzione industriale del PET può avvenire mediante reazioni di transesterificazione o esterificazione:

    • DMT process: il dimetil-tereftalato è fatto reagire con un eccesso di glicole etilenico a temperature di 150-200°C in catalisi basica. Il metanolo che si produce è rimosso mediante distillazione. Il secondo step è condotto a temperature più elevate di circa 270-280°C e porta alla formazione del polimero e all’evaporazione del glicole in eccesso.

      Transesterificazione By Jü – Own work, CC BY-SA 4.0
    • Esterificazione del tereftalato: glicole etilenico è fatto reagire con tereftalato acido con temperature di 220-260°C e pressioni di 2,7-5,5 bar. L’acqua che è formata è eliminata per distillazione direttamente durante la reazione.

      Esterificazione By Jü – Own work, CC BY-SA 4.0

Riciclaggio

Il PET è un materiale riciclabile, può seguire due principali processi di riciclaggio: uno meccanico e uno chimico. Il riciclaggio meccanico consiste nel ridurre in polvere il PET e rifonderlo in nuovi oggetti non più ad uso alimentare. Il riciclaggio chimico permette invece di riottenere i monomeri di partenza e quindi creare nuovamente PET anche per uso alimentare, quest’ultimo metodo è vantaggioso perché non produce prodotti deprezzati di qualità inferiore.

Processi biotecnologici

Nel 2016 è stato scoperto un batterio (Ideonella sakaiensis) che si nutre del PET che viene digerito da due enzimi Mhetase e Petase, nel 2018 è state sequenziata la struttura proteica della Petase ed ora anche quella della Mhetase. L’enzima Petase è una forbice molecolare che scompone il materiale plastico in monomeri mentre la Mhetase scompone in glicole etilenico e acido tereftalico il PET.

The structure of I. sakaiensis MHETase displays a bipartite domain architecture. a I. sakaiensis PETase and MHETase degrade PET to terephthalic acid and ethylene glycol. Side products are not shown. b MHETase structure with the α/β-hydrolase domain (MHETaseHyd) colored in salmon and the lid domain (MHETaselid) in light blue. Disulfide bonds are shown as sticks. c Close-up view of the MHETase catalytic triad, oxyanion hole and the water molecules in the substrate-binding site. d A. oryzae FaeB (PDB-ID: 3WMT24), α/β-hydrolase domain (AoFaeBHyd) in crimson red, lid domain (AoFaeBLid) in cyan. e Close-up view of the AoFaeB catalytic triad, oxyanion hole and the water molecules in the substrate-binding site. Dashed lines indicate hydrogen bonds, rotation angles relate to the overview. Interacting residues are shown as sticks and colored by atom type. Carbon—as given for the respective molecule; nitrogen—blue; oxygen—red; sulfur—yellow. Water oxygens are shown as green spheres. Calcium is shown as purple sphere

Emergenza plastica

Uno studio pubblicato sulla rivista Nature del 2016 ha analizzato l’inquinamento nel mediterraneo da materiale plastico e micro-plastico, il più abbondante tipo di plastica analizzata è il polietilene con un’abbondanza del 52%, seguito poi dal polipropilene 16%. Anche il PET, nonostante sia un materiale completamente riciclabile è stato ritrovato anche se in basse percentuali (<1%).

 

MACPLAS ONLINE – www. macplas.it
SCIENTIFIC REPORT n.1717 (2019) – Nature.com – Scructure of the plastic – degrading Ideonella sakaiensis Mhetase bound to a substrate
SCIENTIFIC REPORT n.37551 (2016) – Nature.com – The Mediterranean Plastic Soup

Licenza Creative Commons
Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale 4.0 Internazionale