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Il warfarin e la cascata coagulativa

Il warfarin, principale farmaco per la terapia anticoagulante orale (TAO), è stato per tantissimi anni il più importante aiuto nella prevenzione dell’ictus ischemico in pazienti con fibrillazione atriale, per il trattamento dell’embolia polmonare e della trombosi venosa profonda (TVP).

Appartiene alla classe degli antagonisti della Vitamina K (AVK), una molecola molto importante per i processi di formazione dei coaguli.

La molecola

Il warfarin è un derivato sintetico cumarinico con attività ottica in quanto possiede un centro chirale.

Questo farmaco è somministrato come miscela racemica, i due enantiomeri sono qualitativamente simili ma quello levogiro è il più attivo.

La sintesi

La miscela racemica viene ottenuta mediante addizione di Michael tra la 4-idrossicumarina e benzalacetone (4-fenilbut-3-en-2-one):

Per il meccanismo di sintesi visita la pagina CHIMICA ORGANICA-SINTESI.

Farmacodinamica

L’azione anticoagulante è resa possibile dall’interazione di questo farmaco con la cascata coagulativa. Il warfarin agisce come antagonista della vitamina K inibendo l’enzima vitamina K epossido reduttasi.

Ma come funziona la cascata coagulativa e qual è la funzione della vitamina K?

La formazione del coagulo avviene grazie alla presenza di una fitta rete di fibrina polimerizzata. Tutti i fattori che rendono possibile la formazione di questi polimeri sono sempre presenti nel torrente circolatorio come proteine inattive che dopo un taglio enzimatico si attivano a cascata. L’utilità di avere una cascata e non un unico fattore è l’amplificazione del segnale che viene sviluppato, rendendo possibile la conversione di una grande quantità di fibrinogeno in fibrina.

Schema di attivazione dei fattori della cascata coagulativa

I fattori sono indicati con i primi 13 numeri romani. Due vie differenti di attivazione (estrinseca e intrinseca) convergono in una via comune con l’attivazione del fattore X.

La via estrinseca è attivata da uno stimolo esterno (esogeno) come il danneggiamento di un vaso. L’endotelio danneggiato porta alla liberazione di fosfolipidi e del complesso proteico chiamato fattore tissutale che attiverà a cascata il fattore VII e successivamente il X.

La via intrinseca necessità l’esposizione del fattore di Hageman (XII) a superfici cariche negativamente come i polifosfati prodotti dalle piastrine attivate o dal collagene (presente nella matrice extracellulare).

In vivo queste due vie non sono indipendenti ma vengono sempre attivate simultaneamente.

Vitamina K1

I fattori sono assemblati su superfici fosfolipidiche grazie agli ioni calcio. Il legame dei fattori II, VII, IX e X con il calcio è mediato dalla modificazione di alcuni residui di acido glutammico della sequenza peptidica. La vitamina K permette la γ-carbossilazione di questi residui seguita da una sua ossidazione, agendo quindi da cofattore dell’enzima γglutamil carbossilasi.

Ciclo della Vitamina K

Il warfarin è in grado di bloccare il ciclo di ossidazione/riduzione della vitamina K inibendo l’enzima vitamina K epossido reduttasi. In questo modo la vitamina ossidata non può rigenerarsi e il ciclo viene bloccato.

Gli anticoagulanti nel 2021

Da diversi anni, i farmaci antagonisti della vitamina K, stanno lasciando il posto ad una nuova classe, i NAO (nuovi anticoagulanti orali), che hanno dimostrato di essere più efficaci e sicuri avendo un’azione diretta in punti specifici della cascata coagulativa. Per questa terapia, inoltre, non è più necessario il monitoraggio periodico per trovare la giusta dose di farmaco (nelle terapie con Warfarin è necessario il monitoraggio dell’INR).

Dall’ultimo rapporto OSMED (2019) pubblicato il 04/08/2020 sul sito dell’Agenzia Italiana del Farmaco:

  1. Il consumo di anticoagulanti è in costante aumento (+34% dal 2014 al 2019)
Anticoagulanti, andamento temporale del consumo (2014-2019)

2. L’utilizzo dei NAO è in netto aumento rispetto agli antagonisti della Vitamina K che dal 2014 al 2019 hanno avuto un calo del 37%

Anticoagulanti, consumo (DDD/1000 abitanti die) per categoria terapeutica: confronto 2014-2019

3. La prescrizione di questi farmaci tende ad aumentare con l’età, con una più alta percentuale di uomini.

Distribuzione della prevalenza d’uso e del consumo 2019 di anticoagulanti
in regime di assistenza convenzionata

Conclusioni

E’ ancora prematuro affermare che la terapia anticoagulante a base di warfarin sia giunta al termine della sua corsa. Sicuramente i NAO apportano numerosi benefici come la maggior sicurezza che amplia la platea dei possibili consumatori e l’introduzione di una dose identica per tutti i pazienti (one-dose-fits-all) anche se in alcune analisi si è rilevato un sotto dosaggio a causa della poca aderenza alla terapia da parte dei pazienti (con il Warfarin erano strettamente monitorati).

In alcuni casi il Warfarin rimane ancora l’unica alternativa a questi nuovi farmaci come per esempio per pazienti con compromessa funzione renale, con valvole cardiache meccaniche e per i bambini (anche se alcuni studi sulla sicurezza dei NAO sono in corso). In ultima analisi, a causa del costo, l’utilizzo dei NAO nei paesi in via di sviluppo è limitato mantenendo il warfarin come scelta principale.

Fonti

[1] Holford, N H. “Clinical pharmacokinetics and pharmacodynamics of warfarin. Understanding the dose-effect relationship.” Clinical pharmacokinetics vol. 11,6 (1986): 483-504. doi:10.2165/00003088-198611060-00005
[2] Liu, Shixuan et al. “Structural basis of antagonizing the vitamin K catalytic cycle for anticoagulation.” Science (New York, N.Y.) vol. 371,6524 (2021): eabc5667. doi:10.1126/science.abc5667
[3] Pirmohamed, Munir. “Warfarin: The End or the End of One Size Fits All Therapy?.” Journal of personalized medicine vol. 8,3 22. 28 Jun. 2018, doi:10.3390/jpm8030022
[4] Scuola veneta di medicina generale - Guida NAO/DOACs (link:https://svemg.it/guida-nao/)
[5] Rapporto OSMED Anno 2019 del 04/08/2020 (link:https://www.aifa.gov.it/web/guest/-/rapporto-osmed-2019)
[6] DrugBank (link:https://go.drugbank.com/drugs/DB00682)

La scienza dell’abbronzatura

La maggior parte di noi aspetta con ansia l’arrivo dell’estate per poter passare intere giornate sotto il sole e dare un po’ di colorito alla pelle. Questo avviene grazie alla produzione di melanina indotta dai raggi solari.

Modello semplificato di eumelanina

La melanina si riferisce ad un gruppo di pigmenti naturali formati da biopolimeri di residui di tirosina. La sintesi avviene a livello dei melanosomi (lisosomi specializzati) contenuti nei melanociti, localizzati principalmente nello strato basale dell’epidermide, nei follicoli piliferi e nella coroide (una lamina del bulbo oculare). Queste cellule possono essere raggruppate a formare i “nei”.

Melanocita
CLASSIFICAZIONE

Esistono tre tipi di melanina:

  1. Eumelanina, un pigmento marrone, è la più abbondante nel nostro corpo e si trova di solito in soggetti con carnagione e capelli scuri. Persone che hanno più eumelanina si abbronzano con facilità e sono più protetti dai raggi UV. Viceversa, chi ne ha di meno è più propenso alle scottature;
  2. Feomelanina, un pigmento rosso-giallo, è abbondante in soggetti con carnagione chiara e capelli rossi. Inoltre, queste persone presentano maggiormente nei rosa o rossi e non marroni;
  3. Allomelanina, un pigmento marrone-nero, unicamente prodotta nelle piante.
a) Eumelanina; b) Feomelanina; c) Allomelanina

La qualità e la quantità di melanina prodotta determina il fototipo della persona, ovvero la risposta all’esposizione solare e di conseguenza il tipo di abbronzatura. Ci sono sei fototipi che vanno dall’individuo scarso di melanina (carnagione molto chiara → alto rischio di scottatura, non si abbronza e ha molte lentiggini), all’individuo con elevate quantità di melanina (carnagione molto scura → non si scotta e non ha lentiggini).

FUNZIONI

Le melanine possono:

  • Determinare la pigmentazione di pelle e capelli;
  • Proteggere la pelle dai raggi UV provenienti dal sole. L’epidermide si colora gradualmente, evitando le scottature;
  • Negli animali a sangue freddo, funge da meccanismo di assorbimento di calore dai raggi solari;
  • Limitare l’incidenza dei raggi di luce che entrano negli occhi (chi ha gli occhi chiari è più fotosensibile).

BIOSINTESI

I raggi solari inducono la secrezione dell’ormone MSH (Melanocyte Stimulating Hormone) a livello della neuroipofisi. L’ormone è presente in due forme: α e β, dove la prima ha attività biologica maggiore e deriva dal POMC (propiomelanocortina), ovvero lo stesso precursore dell’ACTH e della β-endorfina.

Quando l’α-MSH lega al suo recettore, MCR1, induce l’aumento della tirosinasi intracellulare. In questo modo la tirosina subisce un processo metabolico chiamato melanogenesi. Questo processo è regolato dalle proteinchinasi cAMP-dipendenti (PKA).

La melanogenesi comincia con l’idrossilazione della tirosina in L-DOPA, che viene poi convertita in DOPAchinone. Entrambe le reazioni sono catalizzate dall’enzima tirosinasi (TYR).

In assenza di cisteina, il DOPAchinone subisce un’ossidazione spontanea diventando DOPAcromo. Successivamente, ad opera della dopacromo tautomerasi (conosciuta anche come tyrosinase-related protein 2, o TRP2), viene prodotto l’acido diidrossicarbossilico che viene infine convertito in eumelanina (ad opera della tyrosinase-related protein 1, o TRP1).

Viceversa, in presenza di cisteina, questa viene legata al DOPAchinone, formando la cisteinilDOPA. Quest’ultima subisce poi un’ossidazione spontanea ottenendo così la feomelanina.

Melanogenesi

ALBINISMO

L’albinismo è una rara malattia ereditaria autosomica recessiva dovuta a mutazioni in geni coinvolti nella produzione di melanina. Questo determina una parziale o completa assenza del pigmento (principalmente eumelanina).

Esistono due forme di albinismo:

  • Albinismo oculo-cutaneo: coinvolge cute, capelli e occhi (con le tipiche anomalie oculari della patolgia);
  • Albinismo oculare: presenta solo ipopigmentazione oculare, associate ad anomalie oculari.

Il fenotipo sviluppato è cute chiarissima, capelli bianchi e occhi chiari/rosa. Per queste persone, la minima esposizione al sole può essere dannosa, tanto da provocare gravi scottature e tumori cutanei. Inoltre, mostrano anomalie oculari (fotofobia, strabismo, ecc).

L’ABBRONZATURA

L’abbronzatura è un “meccanismo di protezione” nel quale i melanociti, colpiti dai raggi solari, cominceranno a produrre melanina, dando una colorazione più scura alla nostra pelle.

I raggi solari responsabili dell’abbronzatura sono i raggi UV e sono classificati in base alla lunghezza d’onda (nm):

  • UVA (320-400 nm) → raggiungono il derma, danneggiando elastina e collagene. Per questo motivo sono responsabili dell’invecchiamento cutaneo e quindi delle rughe e macchie della pelle. Contribuiscono in minor parte all’abbronzatura, conferendo un colorito immediato ma temporaneo (fenomeno di Meyrowsky);
  • UVB (280-320 nm) → agiscono a livello dell’epidermide, stimolando la produzione di melanina e favorendo un’abbronzatura più duratura. Tuttavia, essendo piuttosto potenti, sono i principali responsabili di scottature ed eritemi solari;
  • UVC (100-280 nm) → hanno molta energia e sono pericolosi per l’organismo, ma grazie allo strato di ozono atmosferico non raggiungono la superficie terrestre.

Tutti questi possono contribuire all’insorgenza del tumore alla pelle, il melanoma.

Come detto in precedenza, i raggi UV possono danneggiare in modo più o meno grave la nostra pelle. Per questo motivo è molto importante :

  • Usare creme solari ad “ampio spettro” con SPF (fattore di protezione solare) elevato. L’SPF indica quanto a lungo la crema protegge dai raggi UV prima che compaia la scottatura. L’SPF migliore è 30 in quanto protegge dal 97% dei raggi ed è particolarmente indicata per chi ha la pelle sensibile o chi ha un alto rischio di sviluppare il melanoma;
  • Evitare l’esposizione solare o rimanere all’ombra durante le ore più calde (tra le 11 e le 16), in quanto i raggi sono “più forti”;
  • Indossare cappelli con visiera od occhiali da sole per proteggere viso e occhi.

Fonti e letture consigliate

WHO (Organizzazione mondiale della sanità) → link (Linee guida su come proteggersi al meglio dal sole)
Albinism.org (link)
Varga, Mónika et al. “Structural characterization of allomelanin from black oat.” Phytochemistry vol. 130 (2016): 313-20. doi:10.1016/j.phytochem.2016.07.002

Licopene: uno dei tanti carotenoidi

Introduzione

Perché i pomodori sono rossi? Perché il tuorlo d’uovo è giallo? In questo articolo scoprirete una classe di composti naturali molto importanti per la nostra alimentazione.

I carotenoidi sono una classe di composti di origine naturare che presentano una lunga catena idrocarburica con un elevato numero di doppi legami coniugati. La presenza di questi doppi legami coniugati permette di assorbire parte delle radiazioni provenienti dal sole e rifletterne solo una parte con la conseguente colorazione della pianta o dell’alimento. Per questo motivo sono definiti anche pigmenti naturali.

I carotenoidi si possono trovare anche negli animali ma sono di origine esogena come nel tuorlo d’uovo (zeaxantina proveniente dal mais) o nelle piume degli uccelli.

I carotenoidi si dividono in due classi: caroteni e xantofille. I caroteni sono molecole costituite solo da atomi di carbonio e idrogeno come ad esempio il β-carotene (provitamina A) ed il licopene. Le xantofille sono analoghi dei caroteni ma presentano anche atomi di ossigeno come la zeaxantina e la rubixantina.

Queste molecole sono dei potenti antiossidanti e sono utili nei vegetali in associazione alla fotorespirazione perché prevengono la fotoossidazione. Questa caratteristica viene sfruttata nell’industria alimentare che utilizza questi composti come additivi per aumentare la shelf life dei prodotti.

Il licopene

Il licopene è un poli-terpene caratterizzato da 40 atomi di carbonio con 11 doppi legami coniugati.

A differenza del β-carotene non è provitaminico A (nel nostro organismo non viene convertito in vitamina A).

Questo pigmento è presente in prevalenza nella pelle e nel mesocarpio dei pomodori ma si trova in quantità minori anche in altri alimenti come l’anguria, la papaia e l’uva. E’ responsabile della colorazione rossa che si sviluppa in seguito alla maturazione.

I doppi legami si trovano tutti nella forma trans (all-trans) questa configurazione è indice di freschezza e corretta conservazione, la presenza di molecole con configurazione mono-cis o poli-cis può indicare la degradazione o l’esposizione prolungata alla luce del prodotto.

Attività benefiche del licopene

Come già annunciato per tutti i carotenoidi, la principale attività benefica del licopene è quella antiossidante.

Lo stress ossidativo è un importante fattore nelle patologie coronariche come l’ossidazione delle LDL. Il licopene previene queste ossidazione prevenendo danni cardiovascolari e aterosclerosi.

In pazienti affetti da ipertensione, il trattamento con estratti di pomodoro ricchi in antiossidanti hanno registrato una diminuzione della pressione sanguigna.

Sono stati registrati sudi che provano anche la funzione anticarcinogenica di questa molecola, con la capacità di inibire la proliferazione delle cellule tumorali, inibire il segnale del fattore di crescita, indurre l’apoptosi e sopprimere l’espressione di molecole anti-apoptotche.

Le elevate proprietà benefiche hanno portato allo sviluppo di integratori alimentari a base di licopene. La dose raccomandata non è però ancora ben precisa, si considera comunque una dose giornaliera di 5-15 mg di licopene pari a circa 300/400 grammi di pomodori freschi.

La cottura del pomodoro fa perdere la maggior parte dei suoi nutrienti?

Questo è FALSO! La cottura del pomodoro e la triturazione incrementano la biodisponibilità del licopene in quanto si rompono i legami licopene-proteine.

Anche l’olio fa la sua parte! Uno studio ha dimostrato che se si utilizza olio d’oliva durante la cottura del pomodoro la concentrazione sanguigna di all-trans licopene aumenta dell’82%.

AlimentoContenuto in licopene
(mg/100g di prodotto)
Contenuto di licopene per porzione
Pomodoro fresco3,0 mg3,7 mg (1 pomodoro)
Sugo di pomodoro14,1 mg8,9 mg (60mL)
Ketchup15,9 mg2,7 (15mL)
Concentrato di pomodoro42,2 mg13,8 (30mL)
Fonte: My Personal trainer (Link)

Estrazione del licopene

Esistono in commercio molti integratori alimentari a base di licopene. Il processo estrattivo più utilizzato è la SFE (supercritical fluids extraction) gas in fase supercritica in particolare anidride carbonica che garantisce un’alta efficienza con una minima degradazione del prodotto. Esistono anche delle tecniche di estrazione con solvente che tratterò in un prossimo articolo! STAY TUNED.

Fonti

[1] Dorai T. and Aggarwal B.B. “Role of chemopreventive agents in cancer therapy”. Cancer Lett. 2004; 215(2):129-40
[2] Blum A., Monir M.., Wirsansky I. and Ben-Arzi S. “The beneficial effects of tomatoes”. Eur. J. Intern. Med. 2005; 16(6):402-4
[3] Bhuvaneswari V., Nagini S. “Lycopene: a review of its potential as an anticancer agent”. Curr. Med. Chem. Anti-Canc. Agents. 2005; 5(6):627-35

estrazione del resveratrolo

Introduzione: il resveratrolo

Resveratrolo

Il resveratrolo è una molecola polifenolica con spiccata attività biologica. Appartenente alla classe delle fitoalessine stilbeniche:

  • Fitoalessine: molecole antimicrobiche, prodotte dalle piante in risposta all’attacco di un patogeno (batterico o fungino)
  • è un idrossilato dello stilbene (struttura C6-C2-C6)

Il resveratrolo si trova in alte concentrazioni nel Polygonum cuspidatum ma si trova anche nella buccia dell’uva, nel cacao e nelle arachidi.

Questa molecola è impiegata in diversi campi: in alimentazione, come integratore alimentare, in cosmetici e in medicinali per le sue proprietà anti-infiammatorie, anti-ossidanti, antitumorali e con attività cardioprotettrice. Queste proprietà sono più marcate nella forma trans rispetto alla corrispondente forma cis.

Polygonum cuspidatum

Questa pianta è originaria dell’Asia orientale ma presente anche in nord America e Europa, è una pianta infestante con steli cavi che la fanno assomigliare al bambù.

Japanese knotweed (Poligonum cuspidatum)

Questa pianta contiene bassi livelli di trans-resveratrolo ma alti livelli del rispettivo glucoside trans-polidatina, circa 5-8 volte quelli del resveratrolo. Queste molecole sono contenute in dosi maggiori nelle radici ma anche in foglie e nel fusto in dosi minori.

Chemical structures of trans-resveratrol (A) and trans-polydatin (B)

L’idrolisi chimica o enzimatica è utili per convertire la polidatina e ottenere quindi più resveratrolo in forma non gluconata.

Estrazione [1]

Questo metodo di estrazione e purificazione del resveratrolo è basato su diversi processi chimico-fisici: si utilizzerà un’estrazione a ricadere, la filtrazione, l’idrolisi, un’estrazione liquido-liquido e l’eluizione.

  1. Estrazione con etanolo al 95%: ridurre in polvere le radici essiccate (circa 100 grammi) e aggiungere etanolo al 95% in rapporto di 1 : 6 = polvere : etanolo. Lasciare riposare la miscela per 12 ore a temperatura ambiente dopodiché estrarre per 1 ora a ricadere alla temperatura di circa 80°C. Questa procedura deve essere ripetuta per tre volte per massimizzare la resa. Unire le tre soluzioni estratte e far evaporare il solvente in un evaporatore rotante sotto vuoto a 65°C.
  2. Dissoluzione in acqua e filtrazione: mettere la polvere ottenuta nel punto precedente e acqua distillata in rapporto di 1:30 in un recipiente sigillato, attraverso un bagno ad ultrasuoni per 20 minuti a 50°C favorire la dissoluzione. Filtrare immediatamente dopo a bassa pressione.
  3. Idrolisi: in questo passaggio la polidatina deve essere idrolizzata a resveratrolo utilizzando acido cloridrico fino ad ottenere una soluzione a pH=1 e scaldare a bagnomaria per 8 ore a ricadere ad una temperatura di 75°C
  4. Estrazione liquido-liquido: in un imbuto separatore unire la soluzione acquosa ottenuta nel punto precedente in pari volume con un solvente di estrazione come il metil terz-butil etere. Ripetere l’estrazione con solvente per tre volte e recuperare la fase organica.
  5. Eluizione: per rimuovere le impurità aggiungere in un imbuto separatore la fase organica e una soluzione acquosa alcalina con pH 8-9 come bicarbonato di sodio al 5% in rapporto 1:1 per almeno due volte, valori di pH superiori a 10 possono ridurre drasticamente la quantità di resveratrolo ottenuto. Eliminare il solvente a basse pressioni.

Analisi HPLC e resa

Per valutare ogni tappa dell’estrazione e valutare la purezza del prodotto finale si può ricorrere alla tecnica dell’HPLC. L’articolo citato riporta un’analisi ad ogni step:

Cromatogramma HPLC . (A) Cromatogramma dell’estratto con etanolo al 95%, (B) and (C) cromatogrammi dei residui acquosi dopo le filtrazioni, (D) cromatogramma della fase acquosa dopo idrolisi per 6 ore. Picco 1polidatina, 3 resveratrolo, 4 emodina, 2 e 5 componenti non note. LINK

Utilizzando questa procedura di estrazione si avrà una resa maggiore di 0.90g/100g con un contenuto di resveratrolo pari a circa il 73.8%

Fonti e letture consigliate

[1] Dong-Geng Wang, Wen-Ying Liu, Guang-Tong Chen "A simple method for the isolation and purification of resveratrol from Polygonum cuspidatum", Journal of Pharmaceutical Analysis, Volume 3, Issue 4, 2013, Pages 241-247, ISSN 2095-1779, https://doi.org/10.1016/j.jpha.2012.12.001.
[2] Yu SH, Zha JP, Zhan WH, Zhang DQ. [Contents comparison of resveratrol and polydatin in the wild Polygonum cuspidatum plant and its tissue cultures]. Zhongguo Zhong Yao Za Zhi. 2006 Apr;31(8):637-41. Chinese. PMID: 16830819.

DrugBank – Link

Baur, Joseph A, and David A Sinclair. “Therapeutic potential of resveratrol: the in vivo evidence.” Nature reviews. Drug discovery vol. 5,6 (2006): 493-506. doi:10.1038/nrd2060
Price, Nathan L et al. “SIRT1 is required for AMPK activation and the beneficial effects of resveratrol on mitochondrial function.” Cell metabolism vol. 15,5 (2012): 675-90. doi:10.1016/j.cmet.2012.04.003

Istamina

L’istamina (C5H9N3) è un’ammina composta da un anello imidazolico e un gruppo amminico.

Fa parte della classe delle ammine biogene, ovvero ammine biologicamente attive ed ottenuta mediante decarbossilazione di amminoacidi. L’amminoacido dal quale deriva l’istamina è l’istidina.

Questa molecola si trova nelle piante, nei batteri, nei veleni di insetti e negli umani. In questi ultimi, l’istamina è immagazzinata all’interno dei granuli di cellule del sistema immunitario, i mastociti e i basofili. I mastociti sono localizzati nei tessuti, vicino ai piccoli vasi e alle terminazioni nervose, mentre i basofili viaggiano per il circolo sanguigno.

L’istamina è un importante mediatore delle reazioni allergiche in quanto aumenta la secrezione di citochine e chemochine da parte dei linfociti Th2 e ne diminuisce la secrezione da parte dei linfociti Th1.

Degranulazione del mastocita

Recettori istaminergici

I recettori dell’istamina sono quattro e sono proteine transmembrana accoppiate a proteine G.

H1

Coinvolto nelle reazioni allergiche, il recettore H1 è espresso in diversi tessuti e cellule tra cui nervi, epitelio respiratorio, cellule endoteliali di piccoli vasi e muscolatura liscia.

Questo recettore è accoppiato alle proteine Gq che, attivando la fosfolipasi C, aumenta la concentrazione intracellulare di calcio. Questo comporta la contrazione della muscolatura liscia dei bronchi e aumenta la permeabilità vascolare. A livello del cervello permette il mantenimento dello stato di veglia.

La sua attivazione aumenta la produzione di chemochine, le quali servono per guidare le cellule del sistema immunitario verso il sito di infiammazione. L’attivazione del recettore H1 è coinvolta nell’insorgenza di asma, dermatite atopica e prurito (per l’istamina che induce la produzione di IL-31).

H2

Espresso nei linfociti B e T, cellule dendritiche, nelle cellule parietali gastriche, nel cervello e cuore.

Questo recettore è accoppiato alle proteine Gs e una volta attivato, aumenta la produzione di AMP ciclico.

Nello stomaco, induce la secrezione gastrica. Esistono infatti farmaci antistaminici che, bloccando questo recettore, agiscono come antiacidi.

Questo recettore è importante anche per la secrezione mucosa nelle vie aeree e aumenta la permeabilità vascolare. Inoltre, è coinvolto nell’attivazione della risposta immunitaria.

H3

E’ espresso soprattutto a livello dell’SNC ed è accoppiato alle proteine Gi. La loro attivazione comporta una riduzione della produzione di AMP ciclico.

Un ruolo importante di questo recettore è quello di regolare la biosintesi dell’istamina, bloccandone la produzione quando l’istamina stessa lega al recettore. Inoltre, regola il ciclo di dormi-veglia e l’infiammazione.

E’ associato alla rinite perché è espresso nei nervi presinaptici a livello delle ghiandole nasali sub-mucosali e quando viene attivato, stimola la secrezione da parte di queste ghiandole.

H4

Accoppiato alle proteine Gi, è espresso su varie cellule del sistema immunitario, milza, intestino, polmoni, SNC e nelle cellule tumorali.

L’attivazione delle proteine Gi comporta una diminuzione della produzione di AMP ciclico, con conseguente aumento della MAPK e calcio intracellulare.

Nelle reazioni allergiche, H4 media l’attivazione dei mastociti e questo comporta la produzione di diverse chemochine e citochine infiammatorie.

A seguito dell’incontro con l’allergene, i mastociti vengono guidati verso il sito dove si manifesta la reazione allergica (fenomeno di chemiotassi) e successivamente viene indotta la degranulazione, ovvero il processo nel quale i mastociti rilasciano all’esterno l’istamina contenuta nei loro granuli. Lo stesso processo avviene con i basofili, a seguito dell’incontro con l’allergene.

Inoltre, l’attivazione di H4 comporta l’induzione della migrazione degli eosinofili, aumentando la risposta immunitaria.

Intolleranza all’istamina

Questa condizione è dovuta principalmente alla mancata degradazione dell’istamina, nel quale l’enzima DAO (diammino ossidasi) non funziona. C’è quindi un aumento della concentrazione di istamina nel plasma.

Per questo motivo è importante ridurre il consumo di alimenti ricchi di istamina, quali:

  • Prodotti pronti o in scatola
  • Alcol, aceto, lievito
  • Insaccati
  • Pesce in scatola e frutti di mare
  • Formaggi
  • Spinaci, pomodori, melanzane, avocado

I sintomi si manifestano durante e dopo il pasto e sono quelli di una classica intolleranza: prurito ed arrossamenti sul corpo, disturbi gastrointestinali, mal di testa, raffreddore cronico, labbra gonfie.

Farmaci antistaminici

Gli antistaminici sono usati per trattare le reazioni allergiche e sono disponibili in vari formati: compresse, crema o spray.

Questi farmaci agiscono come antagonisti, legando il recettore istaminergico e bloccando il rilascio di istamina quando l’organismo entra in contatto con l’allergene.

Antagonisti del recettore H1

1° generazione:

Difenidramina

Hanno una struttura tanto lipofilica da poter passare la barriera ematoencefalica, causando stanchezza.

A causa della bassa selettività per il recettore H1, possono legare anche altri recettori (della serotonina, colinergico e alfa-adrenergico). Questo comporta lo sviluppo di una serie di effetti collaterali: secchezza delle fauci, tachicardia, tremolii e aumento dell’appetito.

Oltre all’effetto principale, ovvero quello di bloccare l’azione dell’istamina e quindi fermare la reazione allergica, c’è anche l’effetto antiemetico.

2° generazione:

Desloratadina

Sonoi ormai i più usati, in quanto strutturalmente meno lipofilici e quindi non sono in grado di passare la barriera ematoencefalica. Sono più selettivi nei confronti dei recettori H1 periferici, coinvolti nelle reazioni allergiche, e per questo motivo danno meno effetti collaterali.

3° generazione:

Sono i più recenti principi attivi scoperti, sono molto selettivi e per questo presentano ridotti effetti collaterali.

Antagonisti del recettore H4

Recentemente, è stato visto che anche gli antagonisti del recettore H4 potrebbero essere impiegati come antistaminici per il trattamento di allergie, ma al momento è ancora oggetto di studi.

Antagonisti del recettore H2

Questo tipo di antagonisti agiscono come gastroprotettori, per bloccare la secrezione di succhi gastrici indotta dall’istamina.

Sono usati per il trattamento del reflusso gastro-esofageo ed ulcere.

Ranitidina
Fonti:

The Role of Histamine and Histamine Receptors in Mast Cell-Mediated Allergy and Inflammation: The Hunt for New Therapeutic Targets – link

Intolleranza all’istamina – link

Branco, Anna Cláudia Calvielli Castelo et al. “Role of Histamine in Modulating the Immune Response and Inflammation.” Mediators of inflammation vol. 2018 9524075. 27 Aug. 2018, doi:10.1155/2018/9524075

Tatarkiewicz, Jan et al. “New antihistamines - perspectives in the treatment of some allergic and inflammatory disorders.” Archives of medical science : AMS vol. 15,2 (2019): 537-553. doi:10.5114/aoms.2017.68534

Tocilizumab: l’antireumatico utilizzato nella lotta contro COVID-19

Tocilizumab è un farmaco biotecnologico utilizzatto maggiormente come trattamento dell’artrite reumatoide, un’infiammazione cronica autoimmune che comporta il danneggiamento proggressivo delle articolazioni.

Figura 1: mAb umanizzato

Questo farmaco consiste in un anticorpo monoclonale (mAb) umanizzato ricombinante, ovvero un anticorpo umano (IgG1) le quali porzioni variabili (che legano l’antigene) sono state sostituite da porzioni variabili di origine murina (topo), come mostrato nella figura 1. Ha azione immunosoppressiva, agendo come antagonista del recettore, sia solubile che di membrana, per l’interleuchina 6 (IL-6).

IL-6 è una citochina proinfiammatoria pleiotropica prodotta da linfociti T, B, monociti e fibroblasti. Essa è coinvolta nell’attivazione dei linfociti T, nell’induzione della secrezione delle immunoglobuline, nella sintesi delle proteine di fase acuta e nella stimolazione dell’emopoiesi.

Se la sua produzione è up-regolata, in risposta ai mediatori dell’infiammazione quali TNFα e IL-1, può causare diverse infiammazioni croniche autoimmuni tra cui artrite reumatoide (AR), artrite idiopatica giovanile sistemica (AIGs), sindrome da rilascio di citochine e lupus eritematoso sistemico.

Meccanismo d’azione

Tocilizumab è in grado di legare entrambi i tipi di recettori per IL-6, a livello del sito di legame. Questa interazione impedisce alla citochina di legarsi ed attivare la cascata pro-infiammatoria, diminuendo l’infiammazione cronica.

La somministrazione di questo farmaco può essere associata con metotressato (MTX) oppure dato in monoterapia in caso di intolleranza a MTX.

Tocilizumab e SARS cov-2

Nelle ultime settimane, è stato visto che il Tocilizumab (TCZ) sembra avere effetti positivi nel trattamento dell’infezione da COVID-19. Per questo motivo sono stati avviati diversi studi sperimentali, tra cui uno studio di fase III recentemente autorizzato dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco).

Si tratta di uno studio multicentrico, randomizzato, in doppio cieco che valuterà efficacia, sicurezza, farmacodinamica (concentrazione sierica di IL-6, il suo recettore e proteina C reattiva in time point specifici) e farmacocinetica (concentrazione sierica di TCZ in time point specifici) rispetto a un placebo, entrambi in combinazione con lo standard di cura (SOC), in pazienti ricoverati con grave polmonite da COVID-19.

Lo studio intende selezionare 330 pazienti con almeno 18 anni di età e diagnosi di polmonite da COVID-19 confermata secondo i criteri dell’OMS. Questi pazienti saranno randomizzati per ricevere il trattamento in cieco con TCZ o con placebo in combinazione con SOC.

La quantità di farmaco somministrata ai pazienti assegnati al braccio con TCZ (tramite infusione endovenosa), sarà di 8 mg/kg, con una dose massima di 800 mg. A seguito della prima dose somministrata, i pazienti saranno sottoposti a follow-up per 60 giorni.

Al momento non ci sono risultati significativi ed essendo che lo studio durerà circa 10 mesi, bisognerà aspettare del tempo.

Il documento pubblicato dall’AIFA sullo studio in corso: Download

Fonti:

AIFA – sperimentazioni cliniche COVID-19 (link)
Ministero della salute – nuovi studi di sperimentazione COVID-19 (link)
DrugBank – Tocilizumab (link)

 

Mentolo

Il mentolo è un composto organico contenente un gruppo ossidrilico. Il composto si ottiene mediante sintesi o estrazione dall’olio essenziale di diversi tipi di menta (piperita, campestre,…), a temperatura ambiente è un solido cristallino di colore bianco. E’ poco solubile in acqua ma miscibile in alcol e eteri.

Il mentolo contiene tre centri stereogenici quindi si può trovare in otto diverse forme chiamate stereoisomeri (2n dove n è il numero di carboni chirali).

Stereoisomeri del mentolo – Di Roland Mattern

La forma predominante in natura è la (-)-mentolo, tutte le altre forme si possono ottenere dalle sintesi in laboratorio rendendo impuro il prodotto di sintesi.

Classificazione e effetti

Il mentolo è classificato come agente aromatizzante e adiuvante  (FDA). L’effetto più conosciuto di questa molecola è quello rinfrescante ma riduce anche irritazioni della pelle e delle mucose ed è in grado di produrre un effetto analgesico locale.

Targets

Alcuni dei principali targets del mentolo sono i recettori TRP (Transient Receptor Potential cation channel) in particolare il recettore termico TRPM8 (sottofamiglia M, membro 8),  anche noto come recettore del freddo e del mentolo. Questo canale ionico, localizzato principalmente a livello del neurone afferente primario, è attivato dal freddo e da agenti rinfrescanti come il mentolo e consente l’ingresso di ioni calcio e sodio che provocano una depolarizzazione della cellula nervosa e la conseguente trasmissione all’encefalo della  sensazione di freddo. Altri canali simili che possono essere attivati dal mentolo sono TRPA1 e TRPV3.

Il mentolo è anche agonista (si lega e ha funzione di attivatore) del recettore k-oppioide OPRK1. Questo recettore lega composti simili agli oppioidi e regola l’alterazione della nocicezione (sensazione del dolore), l’umore, la coscienza e il controllo motorio. Il mentolo attivando il recettore ha un effetto analgesico senza dare alcun effetto di dipendenza.

Applicazioni

Il mentolo oltre a trovarsi nei farmaci come adiuvante, è utilizzato nelle sigarette per ridurre l’irritazione della gola provocata dal fumo.

Si utilizza anche come additivo aromatizzante nei dentifrici e nelle caramelle.

Alcune creme contengono mentolo con funzione di analgesico locale e si utilizzano per il trattamento di crampi e strappi muscolari.

Fonti

Chem.libretexts.org (Strategies in (-)-Menthol syntesis) – link
DrugBank – link
PubChem – link

McKemy DD. TRPM8: The Cold and Menthol Receptor. In: Liedtke WB, Heller S, editors. TRP Ion Channel Function in Sensory Transduction and Cellular Signaling Cascades. Boca Raton (FL): CRC Press/Taylor & Francis; 2007. Chapter 13. Available from: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/books/NBK5238/

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Paracetamolo

Acetominofene

Il paracetamolo (o acetaminofene) è un derivato dell’anilina.

Ha proprietà analgesicheantipiretiche ed ha un basso effetto antinfiammatorio (ma non è considerato FANS). Inoltre, è spesso somministrato in combinazione ad altri farmaci.

Fu sintetizzato per la prima volta nel 1877 da Harmon Northrop Morse dalla riduzione in acido acetico glaciale del p-nitrofenolo. Solo nel 1887 fu testato per la prima volta su esseri umani.
Dopo esser stato più volte scartato, venne commercializzato per la prima volta nel 1953 come Panadol quando diversi studi confermarono la sua sicurezza in quanto non genotossico come i suoi precursori (acetanilide e fenacetina).

Di certo, è il medicinale da banco più comunemente usato in quanto ha un ridotto rischio di provocare reazioni allergiche e per questo considerato come un valido sostitutivo dell’aspirina.

A differenza di quest’ultima, il paracetamolo non ha attività inibitoria nei processi di aggregazione piastrinica, non compromette la secrezione dell’acido urico (prodotto dal metabolismo delle prurine) e l’effetto gastro-lesivo è minimo.

Farmacodinamica

L’esatto meccanismo d’azione non è stato tuttora completamente definito, secondo una prima teoria il paracetamolo sarebbe un debole inibitore delle cicloossigenasi 1 e 2 (COX1 e COX2) che sono coinvolte nella sintesi delle prostaglandine (molecole che inducono le sensazioni di dolore) a partire dall’acido arachidonico. Il paracetamolo non agisce sulle cicloossigenasi dei tessuti periferici per questo non ha nessun effetto anti-infiammatorio a livello periferico.

Farmacocinetica

Assorbimento

Il paracetamolo ha una biodisponibilità (% di farmaco che raggiunge la circolazione sistemica) dell’88% se somministrato per via orale e raggiunge la concentrazione massima nel plasma dopo 90 minuti dall’ingestione.

Distribuzione

Data la sua bassa affinità con le proteine plasmatiche, questo farmaco viene distribuito in modo più omogeneo in tutto l’organismo ed è in grado di attraversare la barriera ematoencefalica con rapido accesso al sistema nervoso centrale (SNP). Ciò conferisce un effetto antidolorifico a livello centrale.

Metabolismo ed eliminazione

Il paracetamolo è metabolizzato principalmente dal fegato ed il suo metabolismo comprende tre vie:

  1. Coniugazione con glucuronide
  2. Coniugazione con solfato
  3. Ossidazione ad opera del sistema citocromo P450 (precisamente il CYP2E1) producendo un metabolita reattivo, il NAPQI. Questo viene poi coniugato con il glutatione e infine metabolizzato ad acetamiofene cisteina e acido mercapturico.

Questi metaboliti vengono poi escreto nelle urine. Circa il 90% della dose somministrata viene escreta entro 24h.

Dose terapeutica

La dose terapeutica, per un adulto, è di 325-500mg per quattro volte al giorno.

La dose massima terapeutica (raccomandata dalla Farmacopea Ufficial Italiana) è di 3g di paracetamolo al giorno.

Emivita

L’emivita (tempo necessario per diminuire la quantità di un farmaco del 50% nel plasma) è di circa 2.5h se somministrato per via parenterale e 1-4h se somministrato per via orale.

Tossicità

Vertigini, disorientamento e rash cutanei sono i primi segni del sovradosaggio da paracetamolo mentre, a livello ematico, si rilevano neutropenia e trombocitopenia (ovvero numero di neutrofili e piastrine sotto la norma).

L’overdose da paracetamolo causa epatotossicità dovuta alla diminuzione del glutatione, con conseguente accumulo di NAPQI che legherà e danneggerà gli epatociti. Si manifesta, quindi, una necrosi dell’organo alla quale è spesso associata necrosi tubulare renale con conseguente allungamento dell’emivita del farmaco.

Sintesi

Fonti

Drugbank – link

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Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale 4.0 Internazionale.

Cinnamaldeide

La cannella è la spezia invernale per eccellenza, utilizzata sia nei piatti dolci che salati. Questo bastoncino non è altro che la corteccia essiccata ed arrotolata dell’omonimo albero sempreverde.

Oltre che essere un’ottima spezia dal punto di vista culinario, si è dimostrata essere molto efficace anche in ambito terapeutico.

L’olio essenziale

Dalla cannella è possibile estrarne l’olio essenziale attraverso distillazione in corrente di vapore, ovvero una tecnica che sfrutta la proprietà fisica degli oli essenziali di essere volatili e quindi facilmente vaporizzabili e trascinabili dal vapore acqueo. La composizione chimica di questo olio prevede varie molecole tra cui eugenolo, acido cinnamico e cinnamaldeide, sulla quale ora ci soffermeremo nel dettaglio.

La cinnamaldeide è la componente più abbondante dell’olio essenziale di cannella (90% ca.) ed è l’aldeide che conferisce il caratteristico sapore e odore dolciastro e pungente. La sua biodisponibilità (quantità, dopo l’introduzione nell’organismo, effettivamente utilizzata) è piuttosto bassa, <20%, e la maggior parte è escreta dalle urine come acido cinnamico.

Usi, benefici e avvertenze

È utilizzata per le sue proprietà fungicida, insetticida, carminativa e addirittura anticorrosiva per l’acciaio. Diversi studi hanno dimostrato il suo effetto ipoglicemizzante, in pazienti diabetici, e ipocolesterolemizzante, in pazienti affetti da patologie cardiovascolari. Inoltre, grazie alla sua proprietà antibatterica, pare essere molto efficace contro le infezioni da H. pylori che causano disturbi gastrointestinali.

A livello industriale, questa molecola viene ottenuta per condensazione aldolica della benzaldeide con l’acetaldeide e viene utilizzata nell’industria dei profumi come fragranza.

Sebbene presenti molti benefici, l’olio essenziale puro di cannella a contatto diretto con la pelle può avere un effetto irritante (che se prolungato oltre le 48h può provocare ustioni superficiali!) e causare infiammazione ed erosione della mucosa gastrointestinale. Inoltre, può essere tossica a dosi elevate.

E’ stato osservato negli ultimi anni un costante incremento di casi di dermatite allergica da contatto (ACD) dovuti all’aumento del consumo di profumi e creme che utilizzano l’aldeide cinnamica come fragranza. L’ACD è diagnosticabile grazie ad un comune patch test.

Pagina: ESTRAZIONE DELLA CINNAMALDEIDE DALLA CANNELLA

Fonti e letture consigliate

  • DrugBank.ca: Cinnamaldehyde
  • National Center for Biotechnology Information. PubChem Compound Summary for CID 637511, Cinnamaldehyde. https://pubchem.ncbi.nlm.nih.gov/compound/Cinnamaldehyde.
  • Muhammad, Jibran Sualeh et al. “Anti-inflammatory effect of cinnamaldehyde in Helicobacter pylori induced gastric inflammation.” Biological & pharmaceutical bulletin vol. 38,1 (2015): 109-15. doi:10.1248/bpb.b14-00609
  • Ali, Shaik Mahaboob et al. “Antimicrobial activities of Eugenol and Cinnamaldehyde against the human gastric pathogen Helicobacter pylori.” Annals of clinical microbiology and antimicrobials vol. 4 20. 21 Dec. 2005, doi:10.1186/1476-0711-4-20
  • Subash Babu, P et al. “Cinnamaldehyde–a potential antidiabetic agent.” Phytomedicine : international journal of phytotherapy and phytopharmacology vol. 14,1 (2007): 15-22. doi:10.1016/j.phymed.2006.11.005
  • Zhu R, Liu H, Liu C, et al. Cinnamaldehyde in diabetes: A review of pharmacology, pharmacokinetics and safety. Pharmacol Res. 2017;122:78-89. doi:10.1016/j.phrs.2017.05.019
  • Valentina Viti, La Cannella: rimedio naturale contro le iperglicemie?

Acesulfame K (E950)

L’acesulfme di potassio è un dolcificante intensivo artificiale non calorico in quanto il nostro corpo non è in grado di metabolizzarlo, viene assorbito a livello intestinale e secreto attraverso le urine e ha un potere dolcificante di circa 200 volte superiore del comune saccarosio.

Vista la stabilità a temperature superiori ai 200°C e a bassi valori di pH, l’ACE-K, viene impiegato in numerosi alimenti a basso contenuto calorico, dolcificanti, bevande e nei prodotti farmaceutici.

ACE molecola utile per monitorare la qualità dell’acqua in piscina

E’  stato pubblicato nel 2017 un articolo scientifico sull’utilizzo dell’ACE come indicatore per la presenza di urina nelle acque di alcune piscine svedesi.
Le sostanze organiche azotate nelle urine reagiscono con il cloro nelle piscine per formare deelle N-Cl-ammine volatili ed irritanti, per questo non è possibile utilizzare direttamente l’urea come indicatore. L’acesulfame-K è un indicatore di urina ideale per la sua stabilità nel tempo. E’ stata utilizzata una cromatografia ad alte prestazioni (HPLC)  accoppiata ad uno spettrometro di massa per rilevare le concentrazioni del dolcificante.
Valutando anche il quantitativo medio di dolcificante presente nelle urine in un campione di controllo, la ricerca ha stimato nel primo campione un quantitativo di 30 L di urina in una piscina di 420000 L e nella seconda piscina analizzata un quantitativo di 75 L di urina in un volume di 840000 L.
Circa lo 0,008 % del volume totale!

 

National Center for Biotechnology Information. PubChem Database. Acesulfame potassium, CID=11074431, https://pubchem.ncbi.nlm.nih.gov/compound/Acesulfame-potassium (accessed on Oct. 12, 2019)

Sweetened Swimming Pools and Hot Tubs
Lindsay K. Jmaiff Blackstock, Wei Wang, Sai Vemula, Benjamin T. Jaeger, and Xing-Fang Li
Environmental Science & Technology Letters 2017 4 (4), 149-153
DOI: 10.1021/acs.estlett.7b00043

Licenza Creative Commons
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