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Il warfarin e la cascata coagulativa

Il warfarin, principale farmaco per la terapia anticoagulante orale (TAO), è stato per tantissimi anni il più importante aiuto nella prevenzione dell’ictus ischemico in pazienti con fibrillazione atriale, per il trattamento dell’embolia polmonare e della trombosi venosa profonda (TVP).

Appartiene alla classe degli antagonisti della Vitamina K (AVK), una molecola molto importante per i processi di formazione dei coaguli.

La molecola

Il warfarin è un derivato sintetico cumarinico con attività ottica in quanto possiede un centro chirale.

Questo farmaco è somministrato come miscela racemica, i due enantiomeri sono qualitativamente simili ma quello levogiro è il più attivo.

La sintesi

La miscela racemica viene ottenuta mediante addizione di Michael tra la 4-idrossicumarina e benzalacetone (4-fenilbut-3-en-2-one):

Per il meccanismo di sintesi visita la pagina CHIMICA ORGANICA-SINTESI.

Farmacodinamica

L’azione anticoagulante è resa possibile dall’interazione di questo farmaco con la cascata coagulativa. Il warfarin agisce come antagonista della vitamina K inibendo l’enzima vitamina K epossido reduttasi.

Ma come funziona la cascata coagulativa e qual è la funzione della vitamina K?

La formazione del coagulo avviene grazie alla presenza di una fitta rete di fibrina polimerizzata. Tutti i fattori che rendono possibile la formazione di questi polimeri sono sempre presenti nel torrente circolatorio come proteine inattive che dopo un taglio enzimatico si attivano a cascata. L’utilità di avere una cascata e non un unico fattore è l’amplificazione del segnale che viene sviluppato, rendendo possibile la conversione di una grande quantità di fibrinogeno in fibrina.

Schema di attivazione dei fattori della cascata coagulativa

I fattori sono indicati con i primi 13 numeri romani. Due vie differenti di attivazione (estrinseca e intrinseca) convergono in una via comune con l’attivazione del fattore X.

La via estrinseca è attivata da uno stimolo esterno (esogeno) come il danneggiamento di un vaso. L’endotelio danneggiato porta alla liberazione di fosfolipidi e del complesso proteico chiamato fattore tissutale che attiverà a cascata il fattore VII e successivamente il X.

La via intrinseca necessità l’esposizione del fattore di Hageman (XII) a superfici cariche negativamente come i polifosfati prodotti dalle piastrine attivate o dal collagene (presente nella matrice extracellulare).

In vivo queste due vie non sono indipendenti ma vengono sempre attivate simultaneamente.

Vitamina K1

I fattori sono assemblati su superfici fosfolipidiche grazie agli ioni calcio. Il legame dei fattori II, VII, IX e X con il calcio è mediato dalla modificazione di alcuni residui di acido glutammico della sequenza peptidica. La vitamina K permette la γ-carbossilazione di questi residui seguita da una sua ossidazione, agendo quindi da cofattore dell’enzima γglutamil carbossilasi.

Ciclo della Vitamina K

Il warfarin è in grado di bloccare il ciclo di ossidazione/riduzione della vitamina K inibendo l’enzima vitamina K epossido reduttasi. In questo modo la vitamina ossidata non può rigenerarsi e il ciclo viene bloccato.

Gli anticoagulanti nel 2021

Da diversi anni, i farmaci antagonisti della vitamina K, stanno lasciando il posto ad una nuova classe, i NAO (nuovi anticoagulanti orali), che hanno dimostrato di essere più efficaci e sicuri avendo un’azione diretta in punti specifici della cascata coagulativa. Per questa terapia, inoltre, non è più necessario il monitoraggio periodico per trovare la giusta dose di farmaco (nelle terapie con Warfarin è necessario il monitoraggio dell’INR).

Dall’ultimo rapporto OSMED (2019) pubblicato il 04/08/2020 sul sito dell’Agenzia Italiana del Farmaco:

  1. Il consumo di anticoagulanti è in costante aumento (+34% dal 2014 al 2019)
Anticoagulanti, andamento temporale del consumo (2014-2019)

2. L’utilizzo dei NAO è in netto aumento rispetto agli antagonisti della Vitamina K che dal 2014 al 2019 hanno avuto un calo del 37%

Anticoagulanti, consumo (DDD/1000 abitanti die) per categoria terapeutica: confronto 2014-2019

3. La prescrizione di questi farmaci tende ad aumentare con l’età, con una più alta percentuale di uomini.

Distribuzione della prevalenza d’uso e del consumo 2019 di anticoagulanti
in regime di assistenza convenzionata

Conclusioni

E’ ancora prematuro affermare che la terapia anticoagulante a base di warfarin sia giunta al termine della sua corsa. Sicuramente i NAO apportano numerosi benefici come la maggior sicurezza che amplia la platea dei possibili consumatori e l’introduzione di una dose identica per tutti i pazienti (one-dose-fits-all) anche se in alcune analisi si è rilevato un sotto dosaggio a causa della poca aderenza alla terapia da parte dei pazienti (con il Warfarin erano strettamente monitorati).

In alcuni casi il Warfarin rimane ancora l’unica alternativa a questi nuovi farmaci come per esempio per pazienti con compromessa funzione renale, con valvole cardiache meccaniche e per i bambini (anche se alcuni studi sulla sicurezza dei NAO sono in corso). In ultima analisi, a causa del costo, l’utilizzo dei NAO nei paesi in via di sviluppo è limitato mantenendo il warfarin come scelta principale.

Fonti

[1] Holford, N H. “Clinical pharmacokinetics and pharmacodynamics of warfarin. Understanding the dose-effect relationship.” Clinical pharmacokinetics vol. 11,6 (1986): 483-504. doi:10.2165/00003088-198611060-00005
[2] Liu, Shixuan et al. “Structural basis of antagonizing the vitamin K catalytic cycle for anticoagulation.” Science (New York, N.Y.) vol. 371,6524 (2021): eabc5667. doi:10.1126/science.abc5667
[3] Pirmohamed, Munir. “Warfarin: The End or the End of One Size Fits All Therapy?.” Journal of personalized medicine vol. 8,3 22. 28 Jun. 2018, doi:10.3390/jpm8030022
[4] Scuola veneta di medicina generale - Guida NAO/DOACs (link:https://svemg.it/guida-nao/)
[5] Rapporto OSMED Anno 2019 del 04/08/2020 (link:https://www.aifa.gov.it/web/guest/-/rapporto-osmed-2019)
[6] DrugBank (link:https://go.drugbank.com/drugs/DB00682)

La scienza dell’abbronzatura

La maggior parte di noi aspetta con ansia l’arrivo dell’estate per poter passare intere giornate sotto il sole e dare un po’ di colorito alla pelle. Questo avviene grazie alla produzione di melanina indotta dai raggi solari.

Modello semplificato di eumelanina

La melanina si riferisce ad un gruppo di pigmenti naturali formati da biopolimeri di residui di tirosina. La sintesi avviene a livello dei melanosomi (lisosomi specializzati) contenuti nei melanociti, localizzati principalmente nello strato basale dell’epidermide, nei follicoli piliferi e nella coroide (una lamina del bulbo oculare). Queste cellule possono essere raggruppate a formare i “nei”.

Melanocita
CLASSIFICAZIONE

Esistono tre tipi di melanina:

  1. Eumelanina, un pigmento marrone, è la più abbondante nel nostro corpo e si trova di solito in soggetti con carnagione e capelli scuri. Persone che hanno più eumelanina si abbronzano con facilità e sono più protetti dai raggi UV. Viceversa, chi ne ha di meno è più propenso alle scottature;
  2. Feomelanina, un pigmento rosso-giallo, è abbondante in soggetti con carnagione chiara e capelli rossi. Inoltre, queste persone presentano maggiormente nei rosa o rossi e non marroni;
  3. Allomelanina, un pigmento marrone-nero, unicamente prodotta nelle piante.
a) Eumelanina; b) Feomelanina; c) Allomelanina

La qualità e la quantità di melanina prodotta determina il fototipo della persona, ovvero la risposta all’esposizione solare e di conseguenza il tipo di abbronzatura. Ci sono sei fototipi che vanno dall’individuo scarso di melanina (carnagione molto chiara → alto rischio di scottatura, non si abbronza e ha molte lentiggini), all’individuo con elevate quantità di melanina (carnagione molto scura → non si scotta e non ha lentiggini).

FUNZIONI

Le melanine possono:

  • Determinare la pigmentazione di pelle e capelli;
  • Proteggere la pelle dai raggi UV provenienti dal sole. L’epidermide si colora gradualmente, evitando le scottature;
  • Negli animali a sangue freddo, funge da meccanismo di assorbimento di calore dai raggi solari;
  • Limitare l’incidenza dei raggi di luce che entrano negli occhi (chi ha gli occhi chiari è più fotosensibile).

BIOSINTESI

I raggi solari inducono la secrezione dell’ormone MSH (Melanocyte Stimulating Hormone) a livello della neuroipofisi. L’ormone è presente in due forme: α e β, dove la prima ha attività biologica maggiore e deriva dal POMC (propiomelanocortina), ovvero lo stesso precursore dell’ACTH e della β-endorfina.

Quando l’α-MSH lega al suo recettore, MCR1, induce l’aumento della tirosinasi intracellulare. In questo modo la tirosina subisce un processo metabolico chiamato melanogenesi. Questo processo è regolato dalle proteinchinasi cAMP-dipendenti (PKA).

La melanogenesi comincia con l’idrossilazione della tirosina in L-DOPA, che viene poi convertita in DOPAchinone. Entrambe le reazioni sono catalizzate dall’enzima tirosinasi (TYR).

In assenza di cisteina, il DOPAchinone subisce un’ossidazione spontanea diventando DOPAcromo. Successivamente, ad opera della dopacromo tautomerasi (conosciuta anche come tyrosinase-related protein 2, o TRP2), viene prodotto l’acido diidrossicarbossilico che viene infine convertito in eumelanina (ad opera della tyrosinase-related protein 1, o TRP1).

Viceversa, in presenza di cisteina, questa viene legata al DOPAchinone, formando la cisteinilDOPA. Quest’ultima subisce poi un’ossidazione spontanea ottenendo così la feomelanina.

Melanogenesi

ALBINISMO

L’albinismo è una rara malattia ereditaria autosomica recessiva dovuta a mutazioni in geni coinvolti nella produzione di melanina. Questo determina una parziale o completa assenza del pigmento (principalmente eumelanina).

Esistono due forme di albinismo:

  • Albinismo oculo-cutaneo: coinvolge cute, capelli e occhi (con le tipiche anomalie oculari della patolgia);
  • Albinismo oculare: presenta solo ipopigmentazione oculare, associate ad anomalie oculari.

Il fenotipo sviluppato è cute chiarissima, capelli bianchi e occhi chiari/rosa. Per queste persone, la minima esposizione al sole può essere dannosa, tanto da provocare gravi scottature e tumori cutanei. Inoltre, mostrano anomalie oculari (fotofobia, strabismo, ecc).

L’ABBRONZATURA

L’abbronzatura è un “meccanismo di protezione” nel quale i melanociti, colpiti dai raggi solari, cominceranno a produrre melanina, dando una colorazione più scura alla nostra pelle.

I raggi solari responsabili dell’abbronzatura sono i raggi UV e sono classificati in base alla lunghezza d’onda (nm):

  • UVA (320-400 nm) → raggiungono il derma, danneggiando elastina e collagene. Per questo motivo sono responsabili dell’invecchiamento cutaneo e quindi delle rughe e macchie della pelle. Contribuiscono in minor parte all’abbronzatura, conferendo un colorito immediato ma temporaneo (fenomeno di Meyrowsky);
  • UVB (280-320 nm) → agiscono a livello dell’epidermide, stimolando la produzione di melanina e favorendo un’abbronzatura più duratura. Tuttavia, essendo piuttosto potenti, sono i principali responsabili di scottature ed eritemi solari;
  • UVC (100-280 nm) → hanno molta energia e sono pericolosi per l’organismo, ma grazie allo strato di ozono atmosferico non raggiungono la superficie terrestre.

Tutti questi possono contribuire all’insorgenza del tumore alla pelle, il melanoma.

Come detto in precedenza, i raggi UV possono danneggiare in modo più o meno grave la nostra pelle. Per questo motivo è molto importante :

  • Usare creme solari ad “ampio spettro” con SPF (fattore di protezione solare) elevato. L’SPF indica quanto a lungo la crema protegge dai raggi UV prima che compaia la scottatura. L’SPF migliore è 30 in quanto protegge dal 97% dei raggi ed è particolarmente indicata per chi ha la pelle sensibile o chi ha un alto rischio di sviluppare il melanoma;
  • Evitare l’esposizione solare o rimanere all’ombra durante le ore più calde (tra le 11 e le 16), in quanto i raggi sono “più forti”;
  • Indossare cappelli con visiera od occhiali da sole per proteggere viso e occhi.

Fonti e letture consigliate

WHO (Organizzazione mondiale della sanità) → link (Linee guida su come proteggersi al meglio dal sole)
Albinism.org (link)
Varga, Mónika et al. “Structural characterization of allomelanin from black oat.” Phytochemistry vol. 130 (2016): 313-20. doi:10.1016/j.phytochem.2016.07.002

Emoglobina

Introduzione

L’emoglobina (abbreviata Hb) è una proteina appartenente alla classe delle globine e come la maggior parte delle proteine di questa classe, svolge funzione di immagazzinatore di ossigeno. La struttura quaternaria è un tetramero costituito da due catene α di 141 residui ciascuna e di due catene β di 146 residui ciascuna. Sono presenti sia interazioni di tipo idrofobico che ponti idrogeno e coppie ioniche che stabilizzano la struttura quaternaria.

Struttura 3D dell’emoglobina

Ognuna delle quattro catene trasporta un gruppo eme, costituito da una molecola organica complessa (la protoporfirina) che coordina uno ione ferroso (Fe2+). Questo metallo è in grado di formare sei legami di coordinazione: quattro sono utilizzati per legare l’azoto degli anelli pirrolici e altri due perpendicolari alla protoporfirina che legano da un lato un residuo di istidina della proteina e dall’altro lega in modo reversibile una molecola di ossigeno.

Gruppo eme (ione ferroso complessato dalla protoporfirina)

Il ferro è anche il responsabile della colorazione rossa del nostro sangue!

Stati conformazionali

L’emoglobina può esistere in due stati conformazionali differenti: T (tesa) e R (rilassata). Lo stato R ha una maggior affinità per l’ossigeno e quindi sarà la forma prevalente dell’ossiemoglobina. Lo stato T è la conformazione della deossiemoglobina. La transizione tra questi due stati determina una rottura e formazione di nuovi legami ionici.

Stati conformazionali emoglobina – Shuchismita Dutta, David Goodsell
doi:10.2210/rcsb_pdb/mom_2003_5

Nella forma T il gruppo eme tende ad assumere una forma a cupola dove l’atomo di Fe viene ad essere attratto dall’istidina prossimale, nella forma R il gruppo eme e l’atomo di Fe sono sullo stesso piano. Le due immagini rappresentano uno zoom del gruppo eme rispettivamente nella forma T e R.

La possibilità di modificare il proprio stato di transizione determina una curva di legame all’ossigeno sigmoide. Questo determina una bassa affinità all’ossigeno a basse pressioni parziali e un’alta affinità ad alte pressioni parziali di ossigeno (curva verde).

Funzione metaboliche

L’emoglobina ha un ruolo fondamentale nel trasporto dell’ossigeno dai polmoni ai tessuti periferici. L’affinità all’ossigeno può spiegare l’azione svolta da questa proteina: la pressione parziale di ossigeno nei polmoni è di circa 13,3 kPa (99,7 mmHg) e l’emoglobina è quasi completamente saturata (lega il massimo numero di molecole di ossigeno) mentre nei tessuti periferici la pressione parziale di ossigeno è 4 kPa (30 mmHg) e qui l’emoglobina cede ossigeno perché la sua affinità è ridotta.

Curva di saturazione dell’emoglobina adulta, fetale e della mioglobina – By Leticia

Il legame cooperativo con l’ossigeno fa aumentare l’affinità della proteina stabilizzandola nella forma R.

Emoglobina fetale

Nello sviluppo fetale l’emoglobina del feto (HbF) svolge un ruolo chiave in quanto è richiesto un elevato numero di molecole di ossigeno per la crescita del feto. Questa emoglobina si differenzia da quella di un adulto (HbA) per le catene β che sono sostituite da due catene γ formando il tetramero α2γ2 più affine all’ossigeno (vedi grafico curva blu).

Effetto Bohr

L’emoglobina è in grado di legare e trasportare anche protoni (H+) o molecole di CO2. Nei tessuti periferici le concentrazioni di anidride carbonica e protoni sono elevate in quanto sono scarti derivanti dal metabolismo cellulare ciò rende la proteina meno affine all’ossigeno che viene ceduto alle cellule bersaglio.

Carbammato terminale della carbamminoemoglobina

Il protone si lega sulle catene laterali dei diversi residui amminoacidici della proteina mentre l’anidride carbonica si lega all’estremità amminoterminale di ciascuna subunità sotto forma di carbammato.

Regolazione da 2,3-bisfosfoglicerato

Il 2,3-bisfosfoglicerato è un modulatore allosterico eterotropico, si lega quindi in un punto diverso dal sito attivo ed è una molecola diversa dal comune substrato della proteina. Questa molecola, legandosi tra le due subunità β, favorisce la conformazione T riducendo l’affinità della proteina all’ossigeno.

Nell’emoglobina fetale, dove le catene β sono sostituite da catene γ, il 2,3-bisfosfoglicerato ha un’affinità minore e questo permette all’HbF di essere più affine all’ossigeno.

Il 2,3-bisfosfoglicerato è utile anche in condizioni di ipossia o di basse pressioni parziali di ossigeno nei polmoni (come ad esempio in alta quota). In questi casi vengono prodotte maggiori quantità di 2,3-BPG che determinano una minima variazione in negativo dell’ossigeno che l’emoglobina riesce a legare nei polmoni ma soprattutto una più marcata diminuzione dell’affinità all’ossigeno a basse pressioni parziali, permettendo all’Hb di cedere più alte quantità di ossigeno nei tessuti periferici.

  • A livello del mare l’emoglobina è saturata a quasi il 100% nei polmoni, mentre nei tessuti periferici circa il 60% quindi è in grado di cedere il 40% di ossigeno.
  • Ad altitudini elevate (circa 4500m) se non ci fosse una variazione di 2,3-BPG l’emoglobina rilascerebbe solo il 30% in quanto a quella quota nei polmoni la pressione parziale di ossigeno è inferiore (circa 7,5 kPa) e quindi l’Hb si satura solo per il 90 % circa
  • Ad altitudini elevate (circa 4500m) con una maggior produzione di 2,3-BPG l’emoglobina riesce a cedere circa il 37% dell’ossigeno perché l’effetto di riduzione dell’affinità è maggiore nei tessuti consentendo il rilascio di quantità maggiori di ossigeno

Regolazione in breve

CambiamentoFattoreEffetto
Aumento diCO2Diminuzione affinità
Diminuzione diCO2Aumento affinità
Aumento diH+Diminuzione affinità
Diminuzione diH+Aumento affinità
Aumento di2,3-BPGDiminuzione affinità
Diminuzione di2,3-BPGAumento affinità
Aumento diTemperaturaDiminuzione affinità
Diminuzione diTemperaturaAumento affinità

L’aumento dell’affinità porta ad uno shift della curva sigmoidea verso sinistra, viceversa una diminuzione porta ad uno shift verso sinistra.

Ti suggeriamo anche: mioglobina

Fonti

Marengo-Rowe A. J. (2006). Structure-function relations of human hemoglobins. Proceedings (Baylor University. Medical Center), 19(3), 239–245. https://doi.org/10.1080/08998280.2006.11928171

May 2003, Shuchismita Dutta, David Goodselldoi:10.2210/rcsb_pdb/mom_2003_5

Istamina

L’istamina (C5H9N3) è un’ammina composta da un anello imidazolico e un gruppo amminico.

Fa parte della classe delle ammine biogene, ovvero ammine biologicamente attive ed ottenuta mediante decarbossilazione di amminoacidi. L’amminoacido dal quale deriva l’istamina è l’istidina.

Questa molecola si trova nelle piante, nei batteri, nei veleni di insetti e negli umani. In questi ultimi, l’istamina è immagazzinata all’interno dei granuli di cellule del sistema immunitario, i mastociti e i basofili. I mastociti sono localizzati nei tessuti, vicino ai piccoli vasi e alle terminazioni nervose, mentre i basofili viaggiano per il circolo sanguigno.

L’istamina è un importante mediatore delle reazioni allergiche in quanto aumenta la secrezione di citochine e chemochine da parte dei linfociti Th2 e ne diminuisce la secrezione da parte dei linfociti Th1.

Degranulazione del mastocita

Recettori istaminergici

I recettori dell’istamina sono quattro e sono proteine transmembrana accoppiate a proteine G.

H1

Coinvolto nelle reazioni allergiche, il recettore H1 è espresso in diversi tessuti e cellule tra cui nervi, epitelio respiratorio, cellule endoteliali di piccoli vasi e muscolatura liscia.

Questo recettore è accoppiato alle proteine Gq che, attivando la fosfolipasi C, aumenta la concentrazione intracellulare di calcio. Questo comporta la contrazione della muscolatura liscia dei bronchi e aumenta la permeabilità vascolare. A livello del cervello permette il mantenimento dello stato di veglia.

La sua attivazione aumenta la produzione di chemochine, le quali servono per guidare le cellule del sistema immunitario verso il sito di infiammazione. L’attivazione del recettore H1 è coinvolta nell’insorgenza di asma, dermatite atopica e prurito (per l’istamina che induce la produzione di IL-31).

H2

Espresso nei linfociti B e T, cellule dendritiche, nelle cellule parietali gastriche, nel cervello e cuore.

Questo recettore è accoppiato alle proteine Gs e una volta attivato, aumenta la produzione di AMP ciclico.

Nello stomaco, induce la secrezione gastrica. Esistono infatti farmaci antistaminici che, bloccando questo recettore, agiscono come antiacidi.

Questo recettore è importante anche per la secrezione mucosa nelle vie aeree e aumenta la permeabilità vascolare. Inoltre, è coinvolto nell’attivazione della risposta immunitaria.

H3

E’ espresso soprattutto a livello dell’SNC ed è accoppiato alle proteine Gi. La loro attivazione comporta una riduzione della produzione di AMP ciclico.

Un ruolo importante di questo recettore è quello di regolare la biosintesi dell’istamina, bloccandone la produzione quando l’istamina stessa lega al recettore. Inoltre, regola il ciclo di dormi-veglia e l’infiammazione.

E’ associato alla rinite perché è espresso nei nervi presinaptici a livello delle ghiandole nasali sub-mucosali e quando viene attivato, stimola la secrezione da parte di queste ghiandole.

H4

Accoppiato alle proteine Gi, è espresso su varie cellule del sistema immunitario, milza, intestino, polmoni, SNC e nelle cellule tumorali.

L’attivazione delle proteine Gi comporta una diminuzione della produzione di AMP ciclico, con conseguente aumento della MAPK e calcio intracellulare.

Nelle reazioni allergiche, H4 media l’attivazione dei mastociti e questo comporta la produzione di diverse chemochine e citochine infiammatorie.

A seguito dell’incontro con l’allergene, i mastociti vengono guidati verso il sito dove si manifesta la reazione allergica (fenomeno di chemiotassi) e successivamente viene indotta la degranulazione, ovvero il processo nel quale i mastociti rilasciano all’esterno l’istamina contenuta nei loro granuli. Lo stesso processo avviene con i basofili, a seguito dell’incontro con l’allergene.

Inoltre, l’attivazione di H4 comporta l’induzione della migrazione degli eosinofili, aumentando la risposta immunitaria.

Intolleranza all’istamina

Questa condizione è dovuta principalmente alla mancata degradazione dell’istamina, nel quale l’enzima DAO (diammino ossidasi) non funziona. C’è quindi un aumento della concentrazione di istamina nel plasma.

Per questo motivo è importante ridurre il consumo di alimenti ricchi di istamina, quali:

  • Prodotti pronti o in scatola
  • Alcol, aceto, lievito
  • Insaccati
  • Pesce in scatola e frutti di mare
  • Formaggi
  • Spinaci, pomodori, melanzane, avocado

I sintomi si manifestano durante e dopo il pasto e sono quelli di una classica intolleranza: prurito ed arrossamenti sul corpo, disturbi gastrointestinali, mal di testa, raffreddore cronico, labbra gonfie.

Farmaci antistaminici

Gli antistaminici sono usati per trattare le reazioni allergiche e sono disponibili in vari formati: compresse, crema o spray.

Questi farmaci agiscono come antagonisti, legando il recettore istaminergico e bloccando il rilascio di istamina quando l’organismo entra in contatto con l’allergene.

Antagonisti del recettore H1

1° generazione:

Difenidramina

Hanno una struttura tanto lipofilica da poter passare la barriera ematoencefalica, causando stanchezza.

A causa della bassa selettività per il recettore H1, possono legare anche altri recettori (della serotonina, colinergico e alfa-adrenergico). Questo comporta lo sviluppo di una serie di effetti collaterali: secchezza delle fauci, tachicardia, tremolii e aumento dell’appetito.

Oltre all’effetto principale, ovvero quello di bloccare l’azione dell’istamina e quindi fermare la reazione allergica, c’è anche l’effetto antiemetico.

2° generazione:

Desloratadina

Sonoi ormai i più usati, in quanto strutturalmente meno lipofilici e quindi non sono in grado di passare la barriera ematoencefalica. Sono più selettivi nei confronti dei recettori H1 periferici, coinvolti nelle reazioni allergiche, e per questo motivo danno meno effetti collaterali.

3° generazione:

Sono i più recenti principi attivi scoperti, sono molto selettivi e per questo presentano ridotti effetti collaterali.

Antagonisti del recettore H4

Recentemente, è stato visto che anche gli antagonisti del recettore H4 potrebbero essere impiegati come antistaminici per il trattamento di allergie, ma al momento è ancora oggetto di studi.

Antagonisti del recettore H2

Questo tipo di antagonisti agiscono come gastroprotettori, per bloccare la secrezione di succhi gastrici indotta dall’istamina.

Sono usati per il trattamento del reflusso gastro-esofageo ed ulcere.

Ranitidina
Fonti:

The Role of Histamine and Histamine Receptors in Mast Cell-Mediated Allergy and Inflammation: The Hunt for New Therapeutic Targets – link

Intolleranza all’istamina – link

Branco, Anna Cláudia Calvielli Castelo et al. “Role of Histamine in Modulating the Immune Response and Inflammation.” Mediators of inflammation vol. 2018 9524075. 27 Aug. 2018, doi:10.1155/2018/9524075

Tatarkiewicz, Jan et al. “New antihistamines - perspectives in the treatment of some allergic and inflammatory disorders.” Archives of medical science : AMS vol. 15,2 (2019): 537-553. doi:10.5114/aoms.2017.68534

Tocilizumab: l’antireumatico utilizzato nella lotta contro COVID-19

Tocilizumab è un farmaco biotecnologico utilizzatto maggiormente come trattamento dell’artrite reumatoide, un’infiammazione cronica autoimmune che comporta il danneggiamento proggressivo delle articolazioni.

Figura 1: mAb umanizzato

Questo farmaco consiste in un anticorpo monoclonale (mAb) umanizzato ricombinante, ovvero un anticorpo umano (IgG1) le quali porzioni variabili (che legano l’antigene) sono state sostituite da porzioni variabili di origine murina (topo), come mostrato nella figura 1. Ha azione immunosoppressiva, agendo come antagonista del recettore, sia solubile che di membrana, per l’interleuchina 6 (IL-6).

IL-6 è una citochina proinfiammatoria pleiotropica prodotta da linfociti T, B, monociti e fibroblasti. Essa è coinvolta nell’attivazione dei linfociti T, nell’induzione della secrezione delle immunoglobuline, nella sintesi delle proteine di fase acuta e nella stimolazione dell’emopoiesi.

Se la sua produzione è up-regolata, in risposta ai mediatori dell’infiammazione quali TNFα e IL-1, può causare diverse infiammazioni croniche autoimmuni tra cui artrite reumatoide (AR), artrite idiopatica giovanile sistemica (AIGs), sindrome da rilascio di citochine e lupus eritematoso sistemico.

Meccanismo d’azione

Tocilizumab è in grado di legare entrambi i tipi di recettori per IL-6, a livello del sito di legame. Questa interazione impedisce alla citochina di legarsi ed attivare la cascata pro-infiammatoria, diminuendo l’infiammazione cronica.

La somministrazione di questo farmaco può essere associata con metotressato (MTX) oppure dato in monoterapia in caso di intolleranza a MTX.

Tocilizumab e SARS cov-2

Nelle ultime settimane, è stato visto che il Tocilizumab (TCZ) sembra avere effetti positivi nel trattamento dell’infezione da COVID-19. Per questo motivo sono stati avviati diversi studi sperimentali, tra cui uno studio di fase III recentemente autorizzato dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco).

Si tratta di uno studio multicentrico, randomizzato, in doppio cieco che valuterà efficacia, sicurezza, farmacodinamica (concentrazione sierica di IL-6, il suo recettore e proteina C reattiva in time point specifici) e farmacocinetica (concentrazione sierica di TCZ in time point specifici) rispetto a un placebo, entrambi in combinazione con lo standard di cura (SOC), in pazienti ricoverati con grave polmonite da COVID-19.

Lo studio intende selezionare 330 pazienti con almeno 18 anni di età e diagnosi di polmonite da COVID-19 confermata secondo i criteri dell’OMS. Questi pazienti saranno randomizzati per ricevere il trattamento in cieco con TCZ o con placebo in combinazione con SOC.

La quantità di farmaco somministrata ai pazienti assegnati al braccio con TCZ (tramite infusione endovenosa), sarà di 8 mg/kg, con una dose massima di 800 mg. A seguito della prima dose somministrata, i pazienti saranno sottoposti a follow-up per 60 giorni.

Al momento non ci sono risultati significativi ed essendo che lo studio durerà circa 10 mesi, bisognerà aspettare del tempo.

Il documento pubblicato dall’AIFA sullo studio in corso: Download

Fonti:

AIFA – sperimentazioni cliniche COVID-19 (link)
Ministero della salute – nuovi studi di sperimentazione COVID-19 (link)
DrugBank – Tocilizumab (link)

 

Arsenico: un quotidiano nemicio invisibile

Introduzione

L’arsenico (As) è un semimetallo che è naturalmente contenuto nella crosta terreste e lo si può trovare anche nell’acqua e nell’aria. L’inquinamento delle falde acquifere da arsenico, in numerosi paesi del mondo, rappresenta un grave rischio cronico per la salute delle popolazioni che utilizzano queste fonti come principali risorse idriche, ma non solo. I rischi sono legati anche all’utilizzo di queste acque per l’irrigazione dei campi, per la produzione di alimenti o per i processi industriali. Altre attività che possono aumentare l’inquinamento da arsenico sono sicuramente le attività industriali e di estrazione mineraria, l’utilizzo di insetticidi a base di arsenico ma anche l’attività vulcanica.

Il continente più colpito da questo fenomeno è quello asiatico, alti valori di arsenico si riscontrano anche in alcuni stati dell’America del Sud e del Nord.

Casi documentati di contaminazione da arsenico legati a fenomeni naturali Fonte: British Geological Survey, (2001), <http://www.bgs.ac.uk/&gt;

In Italia le regioni maggiormente esposte a questo rischio sono alcune zone della Toscana, Umbra, Lombardia, Trentino-Alto Adige e del Lazio. Per fronteggiare questa emergenza sono utilizzati dei sistemi di filtraggio a membrana o dei materiali adsorbenti.

Stati di ossidazione

In natura l’arsenico inorganico si può trovare in diversi stati di ossidazione (-3, 0, +3, +5). I più comuni e tossici sono le forme pentavalenti e trivalenti rispettivamente arseniato e arsenito che risulta essere la forma più tossica. Molto comuni sono anche le forme monometilate (MMA) e dimetilate (DMA) che molti mammiferi producono come metaboliti che vengono espulsi tramite l’urina. La forma trimetilata (TMA) è presente in piccolissime quantità nell’urina.

Forme metilate di As(v) e As(III)

Nell’uomo sono state trovate tracce di questi composti nell’urina di soggetti cronicamente esposti a fonti di arsenico.

Le forme organiche di arsenico sono molto meno tossiche e presenti in quantità minima rispetto a quelle inorganiche.

Effetti sulla salute

La tossicità acuta varia a seconda della formula e del suo stato di ossidazione. La MMAIII nei topi ha una LD50 di 2 mg/Kg mentre la MMAV ha una LD50 di 960 mg/Kg, le forme più metilate hanno valori di LD superiori (Michael F. Hughes, 2002).

Le caratteristiche di un’intossicazione acuta da arsenico sono problemi all’apparato gastrointestinale, vomito, diarrea, sangue nelle urine, anuria, convulsioni, coma e morte.

La tossicità cronica è più comune soprattutto nei paesi sottosviluppati o nelle località dove l’acqua estratta dalla falda non viene filtrata e controllata prima di essere distribuita. Anche il tabacco può dare questo tipo di tossicità in quanto la pianta del tabacco è in grado di assorbire l’arsenico presente nel suolo.

Uno dei tratti caratteristici di questa tossicità sono le lesioni cutanee (cambiamento di pigmentazione e ipercheratosi), ma anche problemi al sistema cardiovascolare (Blackfoot disease), nervoso, epatico, endocrino e renale.

L’esposizione cronica a queste molecole può portare allo sviluppo di tumori, i più frequenti sono quelli alla pelle, ai polmoni o alla vescica. La EFSA (European Food Safety Autority) ha identificato l’intervallo di dosi giornaliere (da 0,3 a 8 μg/Kg di peso corporeo) che porterebbero ad un aumento del rischio di sviluppare tumori pari all’1%.

Meccanismo della tossicità dell’arsenico pentavalente

L’arseniato può sostituire il gruppo fosforico in molte reazioni biochimiche per via della struttura e proprietà simili, ad esempio può legarsi al glucosio nella prima reazione della glicolisi per formare il glucosio-6-arseniato o legarsi al gluconato. L’arseniato può anche sostituire il fosfato nella pompa del sodio e limitare la produzione di ATP durante la glicolisi.

Si assiste quindi ad una deplezione di ATP (riduzione della produzione), in particolare a livello mitocondriale l’arseniato è in grado di sostituirsi al gruppo fosforico nella sintesi dell’ATP per formare ADP-arseniato durante la fosforilazione ossidativa.

Meccanismo della tossicità dell’arsenico trivalente

L’arsenito reagisce in vitro con molecole contenenti gruppi tiolici come la cisteina e il GSH (glutatione). Il legame tra l’arsenico trivalente e i gruppi tiolici può inibire importanti funzioni biochimiche.

Il complesso della PDH (piruvato deidrogenasi) viene inibito dalla presenza di arsenito, in particolare dalle forme metilate (MMAIII) che si legano all’acido lipoico. Il complesso della PDH ossida il piruvato ad Acetil-CoA che entra nel ciclo di Krebs per produrre equivalenti ridotti utili alla catena di trasporto degli elettoni per la sintesi dell’ATP. L’inibizione di questo complesso porta quindi ad una riduzione di ATP.

L’arsenito è anche un potente inibitore del GSH reduttasi che ha la funzione di ripristinare il glutatione ridotto. Il risultato di questa inibizione è una deplezione di GSH in forma ridotta che determina un accumulo di specie reattive dell’ossigeno (ROS) tossiche per le cellule.

Risultati di test sperimentali

Nel rapporto della SOT (society of Toxicology) del 2016 sono raccolti i principali risultati di test in vitro dell’intossicazione da arsenito.

Effetto della concentrazione di arsenito nel contenuto mitoondriale di GSH

Livelli di ATP e rapporto ATP/ADP in relazione alla concentrazione di arsenito

Conclusioni

La formazione di ROS, e la deplezione di ATP sono alcuni dei principali risultati da intossicazione da arsenico che portano alla morte cellulare. L’aumento di ROS causa anche l’apertura di pori di transizione di permeabilità mitocondriale che danneggiano l’integrità della membrana mitocondriale. Il rilascio di citocromo c dalla membrana mitocondriale può portare all’attivazione dalle caspasi che inducono una morte cellulare per apoptosi. La sola deplezione di ATP porterebbe ad una morte cellulare per necrosi.

L’organizzazione mondiale della sanità ha fissato a 10 μg/l il limite massimo di arsenico nelle acque potabili.

Sviluppi biotecnologici

La felce a foglie lunghe (Pteris vittata) è una pianta in grado di accumulare all’interno dei vacuoli grandi quantità di arsenico presente nel terreno. Alcuni ricercatori hanno isolato i tre geni responsabili dell’accumulo di Arsenico sono utilizzati dalle cellule per sintetizzare tre proteine. La GAPC1 è utilizzata per il trasporto dell’arsenico, la OCT4 sembrerebbe aiutare l’arseniato ad attraversare le membrane dove un’altra proteina, la GSTF1, trasforma l’arseniato in arsenito, la forma immagazzinata nella cellula. L’inattivazione di uno di questi geni causa la morte delle piante. Sono ancora in corso studi sul possibile utilizzo di questi geni che possono essere inseriti in altre piante per renderle capaci di bonificare terreni come già stanno facendo in alcune zone le piante di felce.

Pteris vittata – Rafael Medina/iNaturalist.org

Fonti:

Istituto superiori di sanità – Arsenico (link)

WHO – Arsenic (link)

UNICEF “Mitigating Arsenic In Drinking Water ” (link)

Hughes, Michael F. “Arsenic toxicity and potential mechanisms of action” Toxicology Letters Volume 133 Issue 1, 7 Luglio 2002 – (link)

Hosseini, Mir-Jamal et al. “Toxicity of Arsenic (III) on Isolated Liver Mitochondria: A New
Mechanistic Approach” Iranian Journal of Pharmaceutical Research (Winter 2013) – (link)

Licenza Creative Commons

Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale 4.0 Internazionale.

Mentolo

Il mentolo è un composto organico contenente un gruppo ossidrilico. Il composto si ottiene mediante sintesi o estrazione dall’olio essenziale di diversi tipi di menta (piperita, campestre,…), a temperatura ambiente è un solido cristallino di colore bianco. E’ poco solubile in acqua ma miscibile in alcol e eteri.

Il mentolo contiene tre centri stereogenici quindi si può trovare in otto diverse forme chiamate stereoisomeri (2n dove n è il numero di carboni chirali).

Stereoisomeri del mentolo – Di Roland Mattern

La forma predominante in natura è la (-)-mentolo, tutte le altre forme si possono ottenere dalle sintesi in laboratorio rendendo impuro il prodotto di sintesi.

Classificazione e effetti

Il mentolo è classificato come agente aromatizzante e adiuvante  (FDA). L’effetto più conosciuto di questa molecola è quello rinfrescante ma riduce anche irritazioni della pelle e delle mucose ed è in grado di produrre un effetto analgesico locale.

Targets

Alcuni dei principali targets del mentolo sono i recettori TRP (Transient Receptor Potential cation channel) in particolare il recettore termico TRPM8 (sottofamiglia M, membro 8),  anche noto come recettore del freddo e del mentolo. Questo canale ionico, localizzato principalmente a livello del neurone afferente primario, è attivato dal freddo e da agenti rinfrescanti come il mentolo e consente l’ingresso di ioni calcio e sodio che provocano una depolarizzazione della cellula nervosa e la conseguente trasmissione all’encefalo della  sensazione di freddo. Altri canali simili che possono essere attivati dal mentolo sono TRPA1 e TRPV3.

Il mentolo è anche agonista (si lega e ha funzione di attivatore) del recettore k-oppioide OPRK1. Questo recettore lega composti simili agli oppioidi e regola l’alterazione della nocicezione (sensazione del dolore), l’umore, la coscienza e il controllo motorio. Il mentolo attivando il recettore ha un effetto analgesico senza dare alcun effetto di dipendenza.

Applicazioni

Il mentolo oltre a trovarsi nei farmaci come adiuvante, è utilizzato nelle sigarette per ridurre l’irritazione della gola provocata dal fumo.

Si utilizza anche come additivo aromatizzante nei dentifrici e nelle caramelle.

Alcune creme contengono mentolo con funzione di analgesico locale e si utilizzano per il trattamento di crampi e strappi muscolari.

Fonti

Chem.libretexts.org (Strategies in (-)-Menthol syntesis) – link
DrugBank – link
PubChem – link

McKemy DD. TRPM8: The Cold and Menthol Receptor. In: Liedtke WB, Heller S, editors. TRP Ion Channel Function in Sensory Transduction and Cellular Signaling Cascades. Boca Raton (FL): CRC Press/Taylor & Francis; 2007. Chapter 13. Available from: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/books/NBK5238/

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Paracetamolo

Acetominofene

Il paracetamolo (o acetaminofene) è un derivato dell’anilina.

Ha proprietà analgesicheantipiretiche ed ha un basso effetto antinfiammatorio (ma non è considerato FANS). Inoltre, è spesso somministrato in combinazione ad altri farmaci.

Fu sintetizzato per la prima volta nel 1877 da Harmon Northrop Morse dalla riduzione in acido acetico glaciale del p-nitrofenolo. Solo nel 1887 fu testato per la prima volta su esseri umani.
Dopo esser stato più volte scartato, venne commercializzato per la prima volta nel 1953 come Panadol quando diversi studi confermarono la sua sicurezza in quanto non genotossico come i suoi precursori (acetanilide e fenacetina).

Di certo, è il medicinale da banco più comunemente usato in quanto ha un ridotto rischio di provocare reazioni allergiche e per questo considerato come un valido sostitutivo dell’aspirina.

A differenza di quest’ultima, il paracetamolo non ha attività inibitoria nei processi di aggregazione piastrinica, non compromette la secrezione dell’acido urico (prodotto dal metabolismo delle prurine) e l’effetto gastro-lesivo è minimo.

Farmacodinamica

L’esatto meccanismo d’azione non è stato tuttora completamente definito, secondo una prima teoria il paracetamolo sarebbe un debole inibitore delle cicloossigenasi 1 e 2 (COX1 e COX2) che sono coinvolte nella sintesi delle prostaglandine (molecole che inducono le sensazioni di dolore) a partire dall’acido arachidonico. Il paracetamolo non agisce sulle cicloossigenasi dei tessuti periferici per questo non ha nessun effetto anti-infiammatorio a livello periferico.

Farmacocinetica

Assorbimento

Il paracetamolo ha una biodisponibilità (% di farmaco che raggiunge la circolazione sistemica) dell’88% se somministrato per via orale e raggiunge la concentrazione massima nel plasma dopo 90 minuti dall’ingestione.

Distribuzione

Data la sua bassa affinità con le proteine plasmatiche, questo farmaco viene distribuito in modo più omogeneo in tutto l’organismo ed è in grado di attraversare la barriera ematoencefalica con rapido accesso al sistema nervoso centrale (SNP). Ciò conferisce un effetto antidolorifico a livello centrale.

Metabolismo ed eliminazione

Il paracetamolo è metabolizzato principalmente dal fegato ed il suo metabolismo comprende tre vie:

  1. Coniugazione con glucuronide
  2. Coniugazione con solfato
  3. Ossidazione ad opera del sistema citocromo P450 (precisamente il CYP2E1) producendo un metabolita reattivo, il NAPQI. Questo viene poi coniugato con il glutatione e infine metabolizzato ad acetamiofene cisteina e acido mercapturico.

Questi metaboliti vengono poi escreto nelle urine. Circa il 90% della dose somministrata viene escreta entro 24h.

Dose terapeutica

La dose terapeutica, per un adulto, è di 325-500mg per quattro volte al giorno.

La dose massima terapeutica (raccomandata dalla Farmacopea Ufficial Italiana) è di 3g di paracetamolo al giorno.

Emivita

L’emivita (tempo necessario per diminuire la quantità di un farmaco del 50% nel plasma) è di circa 2.5h se somministrato per via parenterale e 1-4h se somministrato per via orale.

Tossicità

Vertigini, disorientamento e rash cutanei sono i primi segni del sovradosaggio da paracetamolo mentre, a livello ematico, si rilevano neutropenia e trombocitopenia (ovvero numero di neutrofili e piastrine sotto la norma).

L’overdose da paracetamolo causa epatotossicità dovuta alla diminuzione del glutatione, con conseguente accumulo di NAPQI che legherà e danneggerà gli epatociti. Si manifesta, quindi, una necrosi dell’organo alla quale è spesso associata necrosi tubulare renale con conseguente allungamento dell’emivita del farmaco.

Sintesi

Fonti

Drugbank – link

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Il sistema immunitario

Il sistema immunitario (S.I.) è un insieme sofisticato di meccanismi, molecole, cellule, tessuti e organi che hanno il ruolo di difesa del nostro organismo da agenti esterni che possono essere patogeni e dall’insorgenza di neoplasie con la capacità di riuscire a distinguere le cellule che fanno parte del nostro organismo (self) da quelle che non ne fanno parte (non-self).

Il S.I. è suddiviso in:

  • immunità innata (aspecifica) è la prima ad attivarsi ma ha una limitata capacità di riconoscimento
  • immunità acquisita (specifica) ha bisogno di diversi giorni per attivarsi, ha un’alta capacità di riconoscimento

Tra le componenti dell’immunità innata si hanno le barriere fisiche come il tessuto epiteliale e le mucose, e componenti cellulari come i leucociti (globuli bianchi) in particolare granulociti, monociti e natural killer infine l’ultima componente dell’immunità innata è costituita da proteine circolanti nel sangue.

Le componenti dell’immunità acquisita sono invece linfociti B e T, i primi utili per la produzione di anticorpi i secondi per attivare una risposta cellulo-mediata. Entrambi sono classificati in differenti classi in base al tipo di MHC (complesso maggiore di istocompatibilità) che riconoscono sulle cellule che presentano l’antigene (APC).

Cosa rende l’immunità specifica diversa da quella innata?
La specificità nel riconoscere molecole uniche (antigeni) del patogeno, la capacità di discriminare il self dal non-self quindi riconoscere ed eliminare tutto ciò che non è parte del nostro organismo e la memoria che si instaura dopo la prima infezione, con lo sviluppo di linfociti di memoria in grado di riconoscere il patogeno in un eventuale secondo incontro (velocizzando la risposta immunitaria).

Cosa succede quando un corpo estraneo supera la cute?
Le prime cellule reclutate sono i granulociti neutrofili che rilasceranno molecole dette citochine che recluteranno le altre cellule del S.I. e molecole citotossiche nei confronti dell’agente esterno.
Avranno poi ruolo i macrofagi che attraverso la fagocitosi, internalizzeranno il patogeno e attraverso il sistema linfatico, lo presenteranno nei linfonodi ai linfociti T. Questi produrranno a loro volta molecole che attiveranno i linfociti B e T citotossici che  potranno riconoscere il patogeno e eliminarlo.
Quando il patogeno sarà completamente eliminato, verranno attivati i linfociti T regolatori che uccideranno tutti i linfociti effettori, spegnendo la risposta infiammatoria.

Tutto il processo infiammatorio e la sua risoluzione sono controllati dall’ambiente citochinico, questa classe di molecole permette anche di indirizzare le cellule del S.I. sul luogo del danno o dove è presente il patogeno.

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